Carl Larsson e Giovannino Guareschi: quando lo Straordinario si affaccia sulla nostra quotidianità.
Mettere insieme, nello stesso articolo, il pittore svedese Carl Larsson e lo scrittore emiliano Giovannino Guareschi, potrebbe sembrare un po’ azzardato, ma tant’è, una mamma nell’azzardo ci sguazza, figuriamoci MammaOca. Due anniversari ad avvicinarli e che altro? Valeria doveva parlare del pittore più presente sul nostro blog, (tutte le pagine, da contatti a fiabe passando per le altre, sono corredate da sue immagini) in occasione del centenario della sua morte, poi assiste ad uno spettacolo su Guareschi, che, detto per inciso, ha scritto uno dei libri per bambini a noi più cari, quel “La calda estate del Pestifero” mai più editato, introvabile, prezioso. Data la propensione del team MammaOca a voli azzardati e pericolosi, ecco nascere un articolo evocativo che, lasciatemelo dire, è davvero bello perché ci fa affacciare, come direbbe Giovannino, “sul meraviglioso mondo del Soprannaturale”.

Addobbi natalizi, balocchi sparpagliati sul pavimento, piedini nudi e torte pronte per la merenda: a cento anni dalla sua morte, Carl Larsson ci invita a guardare i dettagli come doni, minuscoli e graziosi (ovvero pieni d Grazia!) , come faceva, se pur con toni decisamente più sanguigni, Giovannino Guareschi
di Valeria De Domenico
Nel 2019, oltre al decennale del nostro blog, cade il centenario della morte di un artista molto caro a MammaOca, Carl Larsson, pittore, illustratore e scrittore svedese, i cui acquerelli avrete visto spesso a corredo dei nostri post.
La scelta di Carl Larsson è stata inizialmente casuale: continuavamo a imbatterci in questi deliziosi quadretti familiari dal sapore vittoriano e non potevamo fare a meno di pensare che tra quei servizi di tè, quelle cuffiette e i grembiuli, i vasi di spezie sui davanzali, i libri e i giocattoli lasciati in giro, fossero rimaste schegge di una quotidianità che ci è familiare e che quindi ci rappresenta. Noi, i nostri figli – i cui musi sporchi dopo la merenda non sono molto diversi da quelli dei bambini di Larsson che gironzolano per la cucina prima di cena -, le nostre case, le nostre famiglie, le nostre vite.
Carl Larsson era svedese, però, e visse tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Chi si trovasse a passare da Sundborn, 230 km a nord di Stoccolma, visiti la casa in cui l’artista visse con la moglie e i sette figli e che fu scenario di molte delle sue illustrazioni. Gli svedesi sono molto efficienti nel valorizzare l’eredità materiale e spirituale di quei loro connazionali che si sono fatti onore nel mondo (e che per altro, includendo la Garbo, la Bergman, Astrid Lindgren, tre tennisti e Zlatan Ibrahimovic, saranno sì e no una quindicina…) e hanno trasformato la dimora di Larsson in un museo a misura di bambino. Come sarebbe piaciuto a lui, d’altronde.

Larsson, infatti, fu un pittore impegnato, che importò in Svezia la maniera francese en plain air e realizzò opere monumentali ed epiche, come il Midvinterblót (Sacrificio di Pieno Inverno, un olio su tela di ben 6×14 metri, che a tutt’oggi decora una parete del Museo Nazionale di Belle Arti di Stoccolma), ma fu anche, soprattutto nella seconda parte della sua vita, un cultore della vita domestica. In essa, nella dimensione familiare, individuò una sorta di “moralità del quotidiano” e la volle raccontare con l’acquerello.
In una raccolta di illustrazioni del 1894 dal titolo La nostra casa, Larsson scriveva di voler dipingere un “documento familiare da trasmettere ai futuri capi famiglia”.
“Io immagino di aver fatto tutto con molto buon senso” diceva “che credo possa servire da modello. Un modello chiaro, tipicamente scandinavo, l’opposto della standardizzazione tetra e senza stile che inizia a corrompere i focolari domestici svedesi …”.
Mi colpisce il fatto che Larsson, il quale a detta dei biografi arredò la casetta di Sundborn, scegliendo con cura insieme alla moglie ogni singolo suppellettile, perché rispecchiasse il suo personalissimo gusto estetico, avesse notato tra la sua gente il germe di una “standardizzazione tetra e senza stile”. Chissà come è andata a finire?
Fatta fuori questa considerazione tutto sommato superflua (cosa ne sarebbe dei nostri trevani-più-servizi, senza i magazzini Ikea?), andiamo a noi.

Osservo i dettagli della cucina di casa Larsson, la cui atmosfera è perfettamente restituita dai colori vitrei, cangianti, riscaldati dal tepore della stufa in ghisa, che non si vede ma deve esserci da qualche parte, e dalle fiammelle tremule delle candele e della lampada ad olio. Tutto è in ordine, già pulito e pronto per il prossimo pasto. Sia le bambine che Karin (aggraziata come una ballerina, nonostante il pancione di almeno sei mesi) ricambiano lo sguardo amorevole che il papà posa su di loro mentre le ritrae. Sull’architrave della porta una scritta: Guds Fred, la Pace di Dio. Tutto ciò potrebbe suonare lezioso e falso, ma qualcosa ci cattura e insinua nei nostri animi emancipati (e assuefatti al tavolo Melltorp e al servizio di piatti Fägrik!): una punta di invidia. É quel senso di profondo rispetto che lega gli abitanti di questa stanza idealizzata, quel cercarsi, consolarsi a vicenda e bearsi della compagnia che si è l’uno per l’altra: l’idea di famiglia come condivisione di un dono, a prescindere da tutto, dalle contingenze, dai difetti.
Proprio pochi giorni fa mi è capitato di assistere ad una bellissima lettura teatrale, tenuta da Matteo Bonanni, che ringrazio per il lavoro e per l’aiuto nel recuperare i testi citati, di un altro grande “cultore del quotidiano”, Giovannino Guareschi.
Dal 1939 al 1967, Guareschi scrisse, per varie riviste, racconti umoristici che avevano come protagonisti i membri della sua famiglia e che furono successivamente raccolti nei volumi del Corrierino delle famiglie. Nella prefazione lo stesso Guareschi spiega le ragioni di questa scelta:
(…) Perché vi parlo sempre di me, di Margherita, di Albertino e della Pasionaria?
Perché è giusto che io ne parli in quanto, mentre la storia e la cronaca si preoccupano di comunicare ai contemporanei e di tramandare ai posteri le vicende degli «uomini eccezionali», nessuno si cura degli uomini comuni. Giovannino, Margherita, Albertino e la Passionaria: chi son costoro se non i rappresentanti della famiglia «comune»?
Cosa importa se Margherita ha il complesso del pomodoro, se Albertino si preoccupa di sapere il sesso delle biciclette, se la Pasionaria preferisce una macchina per tappar le bottiglie alla bambola più bella? Cosa importa se Giovannino ha il mestiere che ha e porta i baffi che porta?
Non c’è davvero niente di «eccezionale» in tutto questo, e non è, quella di Giovannino, una famiglia «originale», e non è Margherita una donna « speciale». Né Albertino e la Pasionaria sono bambini «straordinari ».
Esistono cento qualità diverse di uva: c’è la bianca, la rossa, la nera, la dolce, l’aspra, l’uva moscata, la malvasia, il lambrusco, la fortana, l’uvona, l’uvetta e via discorrendo.
Ma, pur se spremete cento grappoli d’uva di qualità diverse, il sugo è sempre quello: vino.
A spremer uva non caverete mai benzina, latte, oppure limonata.
È il succo, quello che conta, in ogni cosa.
E il succo della famigliola di Giovannino è quello stesso identico di milioni di famiglie «comuni»: perché i problemi-base della famiglia di Giovannino son gli stessi di milioni di famiglie, perché questi problemi-base scaturiscono da una situazione familiare originata dalla impossibilità di intaccare i principi che costituiscono e debbono costituire le fondamenta di tutte le case «comuni». Di tutte le case oneste, insomma.
Eccoci quindi a leggere racconti o contemplare dipinti che ritraggono altre famiglie, ma contengono dettagli che sono nostri, che appartengono senza dubbio alla nostra quotidianità. Per imparare a guardare il nostro quotidiano con lo stesso sguardo innamorato di Carl Larsson e Giovannino Guareschi, che nell’Ordinario cercavano “il vino” buono e intuivano lo Straordinario.

