Un’immagine dai bastioni della Cittadella di H.C.Andersen. Bellezza salvifica a Copenaghen

Un’immagine dai bastioni della Cittadella, di H.C.Andersen. La descrizione del Kastellet di Copenaghen con la penna di Andersen diventa un inno alla bellezza che salva il mondo. Indicato, più di altre cose, per promuovere la città danese.

Non posso credere di non aver ancora inserito nel blog questo racconto di Andersen che è uno dei miei preferiti e che dimostra in maniera definitiva che le fiabe non sono solo per bambini. Dice bene A. Marciano, in Andersen, Verne e Barrie: una lettura pedagogica, “Si prenda il magnifico raccontino Un’immagine dai bastioni della Cittadella, e si provi a catalogarlo come fiaba. Non c’è un solo elemento o oggetto non realistico. Eppure è un racconto fantastico, pieno di magia intensissimo.”

Leggete e immaginate, non è difficile farlo con le parole e le magie che usa Andersen. E se le parole hanno senso e il coinvolgimento con la vita del mondo e dell’uomo e di tutte le cose, è il modo di scrivere di Andersen, ecco, scoprirete, inaspettatamente, come per magia (è una fiaba ricordate!), qualcosa di più anche su di voi.

E quando andrete a Copenaghen, guarderete i bastioni del Kastellet, e quell’uomo vicino a voi, con altri occhi. (…l’uomo vicino a voi, anche se non ci andrete).

I bastioni con la prigione

 

«E’ autunno, siamo sui bastioni della Cittadella e guardiamo verso il mare, le molte navi che lo solcano e la costa svedese che si innalza nel sole della sera; dietro di noi i bastioni scendono ripidi; ci sono splendidi alberi, le foglie gialle cadono dai rami; laggiù sorgono tetri edifici con palizzate di legno e l’interno, dove cammina la sentinella, è stretto e tetro, ma dietro il buco protetto dalla grata é ancora più buio; lì vivono gli schiavi prigionieri, i peggiori criminali. Un raggio di sole che tramonta entra nella stanza spoglia.
Il sole splende sui malvagi e sui buoni! Il cupo e truce prigioniero guarda con orridi occhi il freddo raggio di sole. Un uccellino vola verso la grata. Canta un breve “cip” ma rimane lì, sbatte le ali, si toglie una piuma, fa frusciare le altre piume sul collo, e l’uomo malvagio, in catene, lo guarda; un’espressione più dolce attraversa l’orrido volto; un pensiero che non è chiaro nemmeno a lui si illumina nel suo petto, è simile al raggio di sole attraverso la grata, simile al profumo delle viole che a primavera crescono così ricche lì fuori. Ora risuona, deliziosa e forte, la musica del corpo dei cacciatori. L’uccello vola via dalla grata del prigioniero, il raggio di sole scompare e si fa buio nella stanza, buio nel cuore dell’uomo malvagio, ma il sole vi è entrato, l’uccello vi ha cantato. Continuate belle note della tromba dei cacciatori! La sera è mite, il mare tranquillo e liscio come l’olio. ».

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