La storia dell’uccellino, fiaba irlandese. A chi è partito per quel misterioso viaggio

La storia dell’uccellino, fiaba irlandese. Di Thomas Crofton Croker. Raccolta da William Yeats in “Fiabe irlandesi”. A chi è partito per quel misterioso viaggio.

Dedicata ad Anas, che amava le storie.
E a tutti quelli che con lui hanno seguito quell’uccellino che non ci si sarebbe mai stancati di ascoltare.

Le fiabe e i racconti popolari irlandesi sono popolati di santi, i quali, si sa, o almeno si sapeva una volta in quell’isola benedetta dal Cielo, hanno scelto e percorso strade particolari e spesso incomprensibili ai più. Strade colme di bellezza, di drammi e di suoni celestiali. Viaggi strani e misteriosi alla comprensione umana. Per questo tante storie rispondono alle nostre domande di senso allo stesso modo: profondo e misterioso.

Mi sono spesso chiesta, soprattutto in questo ultimo anno di pandemia: ma quando una persona è in coma, lui, la sua anima, il suo cuore, tutta la sua persona, dov’è? Non posso credere sia nel nulla, datemi, (nel caso ci fossero), tutte le spiegazioni scientifiche del mondo, ma non posso crederlo.
Mi dedico alle storie da tanto tempo, e una storia, una fiaba, una poesia, un racconto, portano “in sé i pensieri più semplici, profondi e imprescindibili delle generazioni”, così quando ho letto la delicata storia dell’uccellino, così evocativa di questo viaggio misterioso così difficile da penetrare, ho, più che aver trovato una risposta, percepito, immaginato che qualcuno di noi possa aver percorso una strada così, strana, misteriosa ma sicuramente buona.

Dov’eri tu quando sembravi dormire? Seguivi anche tu quell’uccellino?

La storia dell’uccellino, di Thomas Crofton Croker, in Fiabe Irlandesi di William Butler Yeats
(T.C.Crocker l’ha trascritta, egli afferma, parola per parola così come l’ha sentita da una vecchia presso un pozzo sacro).

Tanti anni fa c’era un uomo molto religioso e santo, uno dei monaci di un convento, e un giorno se ne stava inginocchiato a pregare nel giardino del suo monastero quando udì un uccellino cantare in uno dei cespugli di rose del suo giardino, e non aveva sentito mai al mondo un suono tanto dolce quanto il canto di quell’uccellino.
Il sant’uomo si alzò dal luogo in cui era inginocchiato a pregare per ascoltare quella canzone; perché pensava di non aver mai udito in vita sua nulla di così celestiale.
L’uccellino, dopo aver cantato ancora per un po’ sul cespuglio di rose, volò via verso un boschetto a una certa distanza dal monastero e il sant’uomo lo seguì per ascoltare il suo canto perché sentiva che non si sarebbe mai stancato di udire la dolce melodia che sgorgava dalla sua gola.
E poi l’uccellino andò verso un altro albero più distante, e là cantò per un po’, e poi verso un altro albero ancora, e così via allo stesso modo, ma sempre più lontano dal monastero, e il sant’uomo continuava a seguirlo sempre più in là, ascoltando, deliziato, la sua canzone incantatrice.
Alla fine fu obbligato a lasciar perdere, perché si stava facendo tardi, e tornò verso il convento; e mentre vi si avvicinava sul far della sera, il sole stava tramontando a occidente con i colori più paradisiaci che mai si fossero visti al mondo, e quando entrò nel convento, era il tramonto.

Fu molto sorpreso di tutto ciò che vide, perché attorno a lui nel monastero c’erano solo facce strane che non aveva mai visto prima e il posto stesso e ogni cosa intorno sembravano stranamente modificati; e nell’insieme appariva completamente diverso da ciò che era quando egli lo aveva lasciato al mattino; e il giardino non assomigliava a quello in cui era stato inginocchiato a pregare quando aveva udito per la prima volta il canto dell’uccellino.
Mentre si stava meravigliando di tutto quel che vedeva, uno dei monaci del convento gli si avvicinò e il sant’uomo gli domandò: “Fratello, qual è la causa di tutti questi strani cambiamenti che sono avvenuti qui da stamattina?”.
Il monaco a cui aveva rivolto la parola sembrò meravigliarsi moltissimo di questa domanda e gli chiese che cosa intendesse parlando di cambiamenti sopraggiunti dalla mattina, perché di certo non c’erano stati cambiamenti e tutto era esattamente come prima. Poi disse: “Fratello, perché fai queste strane domande, e qual è il tuo nome? Indossi gli abiti del nostro ordine, ma non ti abbiamo mai visto prima».
Allora il sant’uomo disse il proprio nome e raccontò che al mattino era stato a messa in cappella prima di andarsene in giro lontano dal giardino ascoltando la canzone di un uccellino che cantava tra i cespugli di rose, vicino al posto in cui era inginocchiato a pregare.
Il fratello, mentre egli stava parlando, lo guardò con grande serietà e poi gli disse che nel convento si tramandava di un monaco che portava il suo nome, che aveva lasciato il monastero circa duecento anni prima, e cosa fosse stato di lui non si era mai saputo.
Mentre ancora stava parlando, il sant’uomo disse: “È giunta l’ora della mia morte. Benedetto sia il nome del Signore per tutte le grazie che mi elargisce attraverso i meriti del suo unico Figlio”.
Subito si inginocchiò e disse: “Fratello, raccogli la mia confessione, perché l’anima mia sta trapassando”.
Fece la sua confessione e ricevette l’assoluzione, poi gli venne data l’estrema unzione, e prima di mezzanotte morì.
L’uccellino, vedete, era un angelo, uno dei cherubini o serafini; e quello fu il modo in cui l’Onnipotente si compiacque, nella sua grazia, di prendere a Sé l’anima del sant’uomo.

Tobiolo e l’angelo di Andrea del Verrocchio

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