Una fiaba di coraggio e di trasformazioni. Un ragazzo, un drago e un troll. Fiaba norvegese

Il ragazzo che si trasformò in leone, in falco e in formica. Questo il titolo (evocativo e programmatico) di questa bella fiaba norvegese, contenuta nel libro “Fiabe norvegesi” edito da Iperborea, casa editrice specializzata nella letteratura dei paesi del nord Europa.

Una fiaba fatta proprio per bambini e ragazzi coraggiosi, che amano essere spaventati da qualche bella storia, che amano le trasformazioni, le avventure, i continui colpi di scena e meraviglie, e qui ce ne sono tante e vogliono immedesimarsi o farsi ispirare da un ragazzo che va per il vasto mondo, all’avventura, aiuta chi glielo chiede, accetta i buoni consigli, ha occhi per guardare e scoprire, si stupisce, è baldanzoso, non si fa fermare dalla paura, ma la affronta e conquista il suo posto nel mondo. Una fiaba veramente ricca e ispirante.

Continuiamo così i nostri dieci giorni dedicati ai draghi. Che anche qui sono malvagi e si combattono.

Il ragazzo che si trasformò in leone, in falco e in formica. Fiaba norvegese

Il ragazzo che si trasformò in leone, in falco e in formica. Fiaba norvegese

C’era una volta un uomo che aveva un solo figlio, e aveva vissuto povero e misero; sul letto di morte gli disse che non possedeva altro che una spada, un grosso panno e qualche briciola di pane: quella era la sua eredità. Morto il padre, il ragazzo volle andarsene per il mondo a cercare fortuna; si legò la spada al fianco, raccolse le briciole e le mise dentro il panno come provvista per il viaggio, perché abitavano in mezzo a un bosco, lontano dalla gente. Cammin facendo dovette attraversare una montagna, e quando giunse abbastanza in alto da poter dominare tutto l’altopiano vide un leone, un falco e una formica che litigavano intorno a un cavallo morto. Alla vista del leone il ragazzo si sentì a disagio, ma loro lo chiamarono dicendogli di andar da lui a comporre la lite e a dividere il cavallo, in modo che ognuno potesse avere la parte che gli spettava.

Così il giovane prese la spada e divise il cavallo meglio che poteva: al leone diede lo scheletro e la parte più grossa, il falco ebbe un po’ delle interiora e altre rigaglie, e alla formica spettò la testa. Finita la divisione, il ragazzo disse:
“Adesso mi sembra che a ognuno sia toccato quello che gli spettava. Il leone deve avere la parte più grossa perché è il più grande e il più forte, al falco spetta la migliore perché è gentile e raffinato, la testa tocca alla formica perché si infila nei buchi e negli angoli”.

Tutti furono così contenti che vollero ricompensarlo per aver fatto così bene la spartizione.
“Se vi ho reso un servizio e siete contenti, allora sono contento anch’io”, rispose il ragazzo, “ma non voglio essere pagato”.
Sì, invece, insistevano quelli.
“Se non vuoi altro”, disse il leone, “almeno potrai vedere esauditi tre tuoi desideri.”
Ma il ragazzo non sapeva cosa dire, e così il leone gli chiese se gli sarebbe piaciuto trasformarsi in leone; gli altri due a loro volta gli domandarono se non gli sarebbe piaciuto diventare falco e formica. Questa gli sembrò una bella idea e disse che era proprio il suo desiderio.
Gettò la spada e il panno, si trasformò in falco e cominciò a volare. E così volò sopra un grande lago, ma proprio mentre era lì sopra si sentì così stanco e provò tanto dolore alle ali da non poter più proseguire e, vedendo ergersi sull’acqua una montagna scoscesa, vi si posò per riprendere fiato. Gli sembrava una montagna piuttosto strana e se ne andò un po’ in giro a guardarla.

Ma dopo essersi riposato si trasformò di nuovo in falco e riprese a volare, finché giunse alla reggia, e lì si posò su un albero davanti alle finestre della principessa. Lei, vedendo l’uccello, ebbe voglia di prenderlo: lo chiamò e, quando il falco fu nella stanza, con prontezza, paf! Richiuse la finestra, lo catturò e lo mise in gabbia.
La notte il ragazzo si trasformò in formica e strisciò fuori dalla gabbia, e poi riprese le sue vere sembianze e andò a sedersi accanto alla principessa. Lei si spaventò e si mise a gridare, tanto che il re si svegliò e chiese cos’era successo.
“C’è qualcuno in camera!” gridò la fanciulla.
Subito il ragazzo si ritrasformò in formica, strisciò dentro la gabbia e diventò di nuovo falco. Il re non riuscì a vedere nessuno di cui aver paura e le disse perciò che doveva aver fatto un brutto sogno. Ma era appena uscito dalla porta che la storia si ripeté. Trasformatosi in formica, il giovane strisciò ancora una volta fuori dalla gabbia, riprese subito il suo vero aspetto e si sedette vicino alla principessa.
Lei si mise a strillare a più non posso, e così arrivò il re a vedere cos’era successo.
“C’è qualcuno in camera!” gridò la principessa.
Ma il ragazzo si infilò nuovamente nella gabbia e lì restò, trasformato in falco. Il re guardò e cercò in ogni angolo, ma, non trovando nulla, si arrabbiò per essere stato disturbato nel sonno e disse che erano tutte stupidaggini.
“Se ti messi a strillare un’altra volta”, disse, “ti accorgerai chi è il re tuo padre.”

Appena ebbe varcato la porta, ecco di nuovo il ragazzo accanto alla principessa. Ma stavolta lei non gridò, pur avendo tanta paura che non sapeva cosa fare. Il ragazzo le chiese perché era così spaventata; lei rispose che l’avevano promessa a un troll che abitava sotto terra, e che la prima volta che fosse uscita all’aria aperta lui sarebbe venuto a prendersela. Vedendo il ragazzo, aveva pensato che fosse il troll: tutti i giovedì mattina mandava un messaggero. Il messaggero era un drago, e ogni volta il re doveva dargli nove maiali belli grassi. Per questo il re aveva promesso solennemente la principessa e la metà del regno a chi lo avesse liberato dal drago.
Il ragazzo disse che ci avrebbe pensato lui e l’indomani, quando albeggiò, la principessa andò dal re e gli riferì che c’era un giovane disposto a liberarlo dal drago e dal tributo dei maiali. A sentir questo il re fu tutto contento, perché il drago aveva mangiato così tanti maiali che presto non se ne sarebbero più trovati in tutto il regno. Quel giorno era proprio un giovedì mattina, e così il ragazzo corse subito là dove il drago andava di solito a prendersi i maiali; il garzone della reggia gli indicò la strada.
E infatti il drago arrivò: aveva nove teste ed era così rabbioso e feroce che, non vedendo i suoi maiali, sprizzò fuoco e fiamme e si lanciò sul ragazzo, quasi volesse mangiarselo vivo. Ma in men che non si dica lui si trasformò in leone, lottò contro il drago e gli strappò una testa dopo l’altra. Anche il drago era forte: sputava fuoco e veleno, ma dopo un po’ gli restò una testa sola, quella più difficile. Alla fine il ragazzo riuscì a strappargli anche quella e così addio drago. Poi andò dal re e in tutto il regno ci fu grande gioia sia per la morte del drago sia perché il ragazzo doveva sposare la principessa.

Ma un giorno che erano in giardino arrivò di corsa proprio il troll che abitava sotto terra, afferrò la principessa e se la portò via volando. Il ragazzo voleva lanciarsi subito all’inseguimento, ma il re glielo proibì perché ora che aveva perduto la figlia non gli restava che lui. Preghiere e comandi tuttavia non servirono a nulla: il ragazzo si trasformò in falco e volò via. Non vedendo nessuno, pensò alla strana montagna su cui si era fermato durante il suo primo volo. Scese lì, si trasformò in formica e si infilò in una crepa della roccia. Dopo un po’ di tempo che strisciava si ritrovò davanti a una porta chiusa a chiave. Ma sapeva bene come fare: si infilò nel buco della serratura: al di là della porta c’era una principessa sconosciuta che stava spidocchiando un troll con tre teste. (questo fatto dello spidocchiare non è la prima volta che lo leggo in una fiaba, ed è una cosa davvero schifosa, non vi pare? Ma poi ho trovato un saggio davvero davvero interessante che ne spiega i motivi, …. Ma ve ne parlerò nei link in fondo al post, lasciamo spazio alla fiaba, ndr)
Ho proprio indovinato, pensò il ragazzo, perché aveva sentito dire che il re aveva già perso altre due figlie, rapite dal troll. Forse troverò anche loro, disse tra sé infilandosi nella serratura di un’altra stanza. Ed ecco che vide una principessa sconosciuta che spidocchiava un altro troll, e questo di teste ne aveva sei. Altra serratura, altra stanza: qui c’era la principessa più giovane che stava spidocchiando un troll con nove teste. Allora le si arrampicò su per la coscia e le diede un pizzicotto: lei comprese che era lui e che voleva parlarle e chiese al troll il permesso di uscire un momento. Appena fuori dalla stanza il ragazzo riprese il suo vero aspetto e la pregò di chiedere al troll se non sarebbe mai potuta uscire per andare da suo padre. Poi si trasformò di nuovo in formica e le si posò sul piede; lei rientrò e ricominciò a spidocchiare il troll.
Dopo poco tempo, però, si fece pensierosa.
“Hai smesso di spidocchiarmi”, disse il troll.
“Oh, sto pensando se potrò mai uscire di qui per andare alla reggia di mio padre”, rispose la principessa.

“Questo mai!” dichiarò il troll. “A meno che qualcuno trovi il granello di sabbia che sta sotto la nona lingua della nona testa del drago a cui tuo padre pagava il tributo. E non lo troverà nessuno. Ma se quel granello di sabbia arrivasse sulla montagna, tutti i troll scoppierebbero subito, il monte diverrebbe un castello d’oro e l’acqua si trasformerebbe in prato”. A sentir questo il ragazzo tornò indietro, infilandosi in tutte le serrature e attraversando la fenditura del monte, poi si trasformò in falco e volò là dove si trovava il corpo del drago. Cerca, cerca, trovò il granello di sabbia sotto la nona lingua della nona testa e volò subito via portandolo con sé, ma giunto sull’acqua si sentì tanto stanco, ma tanto stanco che dovette scendere a terra e riposarsi su un sasso vicino alla riva. Mentre era lì si assopì un istante e il granello di sabbia cadde in mezzo alla sabbia della riva. Dovette cercare tre giorni prima di trovarlo, ma appena l’ebbe trovato volò dritto dritto verso la montagna e lo lasciò cadere nella fenditura. Allora tutti i troll che stavano sotto terra scoppiarono e in quel punto si erse un castello dorato, il castello più splendido del mondo, e tutto intorno l’acqua si trasformò nei campi e nei prati più belli e più verdi che si possano immaginare.

E così tornarono alla reggia, dove ci fu grande gioia e soddisfazione generale. Il ragazzo e la più giovane delle principesse si sposarono e in tutto il regno ci furono i più pazzi festeggiamenti, che durarono sette settimane intere. E se stanno bene loro, che tu possa stare anche meglio.

  • Trovate qui il PDF della fiaba. Il ragazzo che si trasformò in leone, in falco e in formica
  • E se volete leggere di draghi, ecco un bellissimo articolo di Chesterton che riprendo qui: San Giorgio e il drago. Se i bambini hanno Chesterton a difenderli.
  • A proposito di “spidocchiamenti” ecco quello che ne scrisse la scrittrice Beatrice Solinas Donghi in un interessante saggio dal titolo “Il sudicione e le colombe al bagno: sporco e pulito nella fiaba popolare”. Se volete leggerlo per intero lo trovate qui.
    “E questo ci porta dritti dritti allo spidocchiamento, pratica igienica fonda­mentale, anche dal punto di vista sociale e affettivo,per tutti i primati; non meno fondamentale, fra il XIII e il XIV secolo, nel villaggio occitano di Montaillou, dove per altro pare che ci si lavasse davvero molto poco (14). Esso persiste nelle fiabe popolari, perfino in due versioni di Cenerentola piuttosto tarde, del Novecento, e per di più genovesi, dunque cittadine (15). In entrambe l’eroina ha un’unica sorellastra, prepotente e antipatica quanto basta, così che la situazione diventa quella tipica “del cortese e dello scortese”: la Cenerenn-a,questo il suo nome dialettale, si presta a spidocchiare un vecchio, o una vecchina, smentendo per gentilezza lo stato reale di quelle capigliature, e viene ricom­pensata di conseguenza. (“Che cosa trovi sulla mia testa? “Oro e argento”. “E oro e argento avrai”.) Stesso meccanismo nel Luccio, tredicesima novella fiorentina dell’Imbriani: in una casa dalle scale di vetro la protagonista viene fermata da certe donnine che “hanno tanto pizzicore in testa”, ma ha il buon gusto di parlare di perle e diamanti anziché di cimici e pidocchi e riceve la relativa ricompensa. Anche su questo argomento il Basile è iperbolico e barocco come siamo abituati a trovarlo: in Le due pizzelle, 7 IV, mentre la gentile Marziella quando si pettina troverà perle in quantità, la cugina scortese sarà afflitta da un pullulare di pi­docchi tanto numerosi da far arretrare il mercurio con cui si cerca dl combat­terli. Una variazione sul tema dello spidocchiamento vuole inoltre che esso funga da pretesto per pervenire ad altri fini.
    Una falsa sposa di Afanasjev approfitta dell’operazione per nascondere tra i capelli di Finist, falco lucente la spilla magica che lo addormenta, mentre per converso un giovane che si fa spidocchiare col capo sulle ginocchia della ma­dre mira solo a sottrarle la chiave della gabbia dell’uomo selvatico, detto in Russia contadino-orco (Il principe e il suo scudiero).
    Inutile torcere il naso su simili dettagli. Per secoli e millenni la vita quotidia­na, a molti livelli sociali e non di rado a tutti, ha conosciuto queste realtà. Possiamo solo concludere che se la gente non si fosse nemmeno spidocchiata, senza dubbio sarebbe stato ancora peggio. E mi sembra importante, per non dire consolante aver trovato nelle fiabe popolari tanti passi che testimoniano la diffusione di lavacri e altre fondamentali operazioni di toeletta anche in tempi molto meno attrezzati dei nostri.”

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