i tre porcellini

Metti un giorno in cui Giovannino, 6 anni, è a casa e  può vedere  la sua cassetta preferita: “I tre porcellini”, un cartone della Disney, di quando era Walt a farli. Altri tempi. Anche i bambini sono di altri tempi, non sono moderni, sono tradizionalisti e conservatori. Per questo, in un mondo modernamente votato al piacere e piacersi, Giò fa il tifo per Gimmy, il terzo porcellino che costruisce la sua casa di mattoni, mentre i fratelli pensano solo a divertirsi. La sorella sgamata dall’età, 12 anni, inorridisce “Gimmy è noioso, per lui si deve solo lavorare, non ci si può divertire”. Alzi la mano chi in fondo in fondo non la pensa come lei.  Per Giò non è così. Lui, gli altri figli quando erano piccoli, il bambino che c’era in noi, vuole essere Gimmy. Scomodando Bettelheim che diceva che in questa storia al principio di piacere si contrappone il principio di realtà, potremmo dire che è perché sono estremamente realisti che i bambini stanno dalla parte di Gimmy, così mentre la dodicenne e la schiera di adolescenti dietro di lei, si chiedono perché non ci si possa divertire un po’ senza essere puniti, e bollano la storia come “d’altri tempi”, scegliendo l’irreale oasi del piacere in cui il lupo è ignorato o tutt’al più imbellettato, il Giò tifa per Gimmy, lui è più furbo, sa che per sconfiggere il lupo deve lavorare e costruire una casa che resista ai suoi assalti: “Quanto sei stupido lupo, noi ti battiamo”. Chi ha paura del lupo cattivo o di costruire una “solida casa di mattoni”?

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