La Bella e la Bestia, di Madame Leprince de Beaumont. Versione integrale

LA BELLA E LA BESTIA di Madame Leprince de Beaumont. Versione integrale. Con le illustrazioni di Walter Crane

Fiaba sfuggita alle intenzioni moraleggianti dell’autrice, non è stata e non sarà la prima volta che capita nella storia della letteratura, per entrare a pieno diritto nell’olimpo delle storie più belle di tutti i tempi. Unico commento, le bellissime parole scritte dal più famoso paladino del mondo delle fate, G.K. Chesterton:  “Abbiamo la famosa lezione de La Bella e la Bestia: una cosa deve essere amata prima di essere amabile” .
P.S. scordatevi Beauty and the Beast di Walt Disney, è un’altra cosa, piacevole ma altra.

illustrazioni di Walter Crane
illustrazioni di Walter Crane

C’era una volta un ricchissimo mercante; aveva sei figli, tre maschi e tre femmine, e siccome era un uomo intelligente, non risparmiò nulla per educarli e dar loro ogni sorta di maestri. Le figliole erano bellissime, ma specialmente la minore era una meraviglia: quand’era piccola, tutti la chiamavano bellina, cosicché il nome di Bella le restò, e ciò fu causa, per le sue sorelle di grandissima gelosia. Questa figlia minore, ch’era era più bella delle altre, era anche più buona di loro: le due maggiori erano piene di superbia perché si sapevano molto ricche: si davano arie da gran signore, non volevano aver nulla a che fare con le figlie degli altri mercanti e ricercavano soltanto la compagnia della gente titolata; tutti i giorni andavano a feste da ballo, teatri, passeggiate eleganti e si burlavano della sorella minore, perché preferiva passare il tempo a leggere buoni libri. Poiché si sapeva che le tre ragazze erano ricche sfondate, parecchi grossi negozianti le chiesero in matrimonio ma le due maggiori risposero che non si sarebbero mai sposate a meno che non fosse capitato loro un duca, o al minimo, un conte; quanto a Bella ( vi ho già detto che questo era il nome della minore), la Bella, dico, ringraziò molto gentilmente coloro che volevano sposarla, ma rispose che le sembrava di essere troppo giovane e desiderava rimanere a tener compagnia a suo padre ancora per qualche anno.

Tutt’a un tratto però il mercante fece fallimento, e dei suoi averi non gli rimase che una piccola casa di campagna, assai lontana dalla città. Con le lacrime agli occhi disse ai suoi figlioli che bisognava rassegnarsi ad andare in quella casa dove, mettendosi a fare i contadini, avrebbero avuto almeno di che vivere. Le due figlie maggiori gli risposero che non avevano intenzione di lasciare la città e che i loro spasimanti sarebbero stati fin troppo felici di sposarle, anche adesso che non avevano più un soldo; le nostre signorine si sbagliavano della grossa: quegli spasimanti non le guardarono più in faccia quando le seppero povere. E siccome, data tutta la loro superbia, nessuno le poteva vedere, la gente diceva: «Non meritano compassione, anzi siamo contenti che abbiano dovuto abbassare la cresta! vadano a fare adesso le gran signore badando alle pecore e ai montoni!». Però, al tempo stesso, tutti dicevano: «Quanto a Bella, ci rincresce proprio la sua disgrazia, é una così brava ragazza! parlava alla povera gente con tanta bontà, era così dolce, così gentile!››. Vi furono persino parecchi gentiluomini che si offrirono di sposarla, anche così, senza un quattrino, ma lei disse che non aveva cuore di abbandonare il suo povero padre nella disgrazia, e voleva accompagnarlo in campagna per consolarlo e aiutarlo nel lavoro.

La povera Bella, al principio, era stata molto addolorata per aver perduto tutto, ma poi si era detta fra sé: «Quand’anche mi struggessi in un mare di pianto, le mie lacrime non servirebbero a restituirmi quello che ho perduto; meglio è cercare d’essere contenta anche così››.
Una volta sistemati nella loro casa di campagna, il mercante e i suoi tre figli si misero a lavorare la terra. Bella si alzava alle quattro del mattino, si affaccendava a pulire la casa e a preparare il pranzo per tutta la famiglia. Al principio dovette faticare molto, perché non era abituata a lavorare come una serva; ma in due mesi si fece più robusta e, faticando tutto il giorno, acquistò una salute di ferro. Quando aveva finito le sue faccende, ella leggeva, suonava il clavicembalo o cantava filando. Le sorelle, invece, si annoiavano da morire, si alzavano alle dieci del mattino, bighellonavano tutto il santo giorno e passavano il tempo a sospirare dietro ai loro bei vestiti e alle brillanti compagnie.
«Guarda un po’ nostra sorella», si dicevano l’un l’altra, «che animo volgare e meschino ha: sembra contenta della sua disgraziata situazione!». Il buon mercante non la pensava come le figliole; sapeva che Bella era più adatta di loro a brillare in società; ammirava la virtù di quella fanciulla e soprattutto la pazienza di lei, giacché le sorelle, non contente di lasciarle fare tutte le faccende di casa, la stuzzicavano ad ogni momento.

Era un anno dacché questa famiglia viveva ritirata in campagna, quando il mercante ricevette una lettera nella quale gli si diceva che una nave, carica di mercanzie di sua proprietà, era arrivata felicemente in porto. Tale notizia mancò poco non facesse girare la testa alle due figlie maggiori, tutte liete di pensare che finalmente avrebbero potuto venir via da quella campagna dove s’annoiavano tanto; quando il padre fu pronto per partire, lo pregarono di portar loro al suo ritorno bei vestiti, baveri di pelliccia, acconciature e ogni sorta di cianfrusaglie. Bella non gli chiedeva nulla, giacché pensava che il denaro delle mercanzie arrivate per mare non sarebbe bastato ad acquistare tutto ciò che le sorelle desideravano.
«E tu, non mi preghi di portarti qualcosa?››, le disse il padre. «Giacchè siete così buono da pensare a me», rispose lei, «vi prego di portarmi una rosa: in questi posti non ne vengono!››. Questo non vuol dire che Bella ci tenesse molto ad avere una rosa, ma non voleva aver l’aria di biasimare col suo esempio le richieste delle sorelle, le quali avrebbero detto che lei non aveva domandato nulla solo per distinguersi da loro!
Il bravuomo partì, ma quando fu arrivato al porto, i suoi creditori gl’intentarono un processo, si presero tutte le sue mercanzie, cosicché, dopo essersi dato tanta pena, dovette tornarsene indietro povero in canna com’era venuto. Non gli restavano più che trenta miglia per arrivare a casa, e già si rallegrava del piacere di rivedere i suoi figlioli, quando, mentre attraversava un grande bosco, si accorse d’aver perduto la strada. Nevicava da non si dire e tirava un vento tale che per ben due volte egli fu buttato giù da cavallo. Si fece notte, e lui pensò che sarebbe morto di fame o di freddo, o mangiato dai lupi che sentiva ululare attorno a sé.

Tutt’a un tratto, guardando in fondo a un lungo viale alberato, vide una gran luce che sembrava lontana lontana. Andò da quella parte e vide che la luce proveniva da un grande palazzo, il quale era tutto illuminato. Il mercante ringraziò Dio dell’aiuto che gli mandava e si affrettò a raggiungere quel castello, ma rimase grandemente stupito nel non trovarvi anima viva. Il suo cavallo, che gli andava dietro, vedendo una grande scuderia, vi entrò dentro, e avendo trovato fieno e avena, quel povero animale morto di fame come era, vi si buttò sopra con grandissima avidità. ». Il nostro mercante lo lasciò mangiare, legato nella stalla, e si diresse verso la casa, dove non vide alcuno; ma, essendo entrato in una grande sala, vi trovò un buon fuoco acceso, e una tavola piena di qualità diverse di carne, dove non era apparecchiato che per una sola persona. Poiché la neve e la pioggia lo avevano bagnato fino alle ossa, si avvicinò al fuoco per asciugarsi, dicendo fra sé: «Il padron di casa o i suoi domestici mi perdoneranno la libertà che mi son presa, e senza dubbio non tarderanno a venire››.
Aspettò un bel pezzo, ma essendo suonate le undici senza che alcuno si fosse veduto, non poté più resistere alla fame, ed afferrò un pollo che si mangiò, tremando, in due bocconi. Bevve anche qualche sorso di vino e, fattosi più ardito, uscì da quella sala e attraversò parecchie grandi stanze splendidamente arredate. Gira e rigira, trovò una camera dov’era preparato un buon letto, e poiché ormai era la mezzanotte passata e lui non stava più in piedi dalla stanchezza, si decise a chiudere la porta e a mettersi a dormire. Il giorno dopo, erano le dieci del mattino quando si svegliò, e fu molto stupito di trovare un abito assai decente al posto del suo ch’era ridotto molto male. «Certamente››, disse fra sé, «questo palazzo appartiene a qualche buona fata che si è impietosita della mia situazione››.
Guardò dalla finestra e vide che la neve era scomparsa, ma al suo posto c’erano pergolati di fiori, che erano una festa per gli occhi. Entrò nella gran sala dove aveva cenato il giorno prima, e vide un tavolinetto con sopra un bel cioccolato caldo. «Vi ringrazio, signora Fata››, egli disse ad alta voce, «d’aver avuto la bontà di pensare anche alla mia colazione!»
E il bravuomo, dopo aver bevuto il cioccolato, uscì per andare a prendere il suo cavallo ma, nel mentre passava sotto un pergolato di rose, si ricordò che Bella gliene aveva chiesta una, e prese un ramo dove ve n’erano parecchie. A questo punto, udì un orribile fragore e vide venirsi incontro una Bestia così mostruosa ch’egli fu lì lì per svenire.

..nel mentre passava sotto un pergolato di rose, si ricordò che Bella gliene aveva chiesta una, e prese un ramo dove ve n'erano parecchie. A questo punto, udì un orribile fragore e vide venirsi incontro una Bestia così mostruosa ch'egli fu lì lì per svenire.
..nel mentre passava sotto un pergolato di rose, si ricordò che Bella gliene aveva chiesta una, e prese
un ramo dove ve n’erano parecchie. A questo punto, udì un orribile fragore e vide venirsi incontro una Bestia così mostruosa ch’egli fu lì lì per svenire.

«Quale ingratitudine è la vostra!», gli disse la Bestia con una voce terribile; «io v’ho salvato la vita, aprendovi le porte del mio castello, e come compenso, rubate le mie rose, la cosa che mi piace più di tutto al mondo! Per scontare un simile errore, dovete morire; non vi concedo che un quarto d’ora per chiedere perdono a Dio dei vostri peccati!››.
Il mercante si gettò alle sue ginocchia, e giungendo le mani, così disse alla Bestia:
«Monsignore, perdonatemi, non credevo di offendervi, cogliendo una rosa per una delle mie figliole che me l’aveva domandata».
«Io non mi chiamo “Monsignore”››, rispose il mostro, «ma Bestia. I complimenti non mi piacciono; voglio che ognuno dica quello che pensa; quindi, non crediate di commuovermi con i vostri salamelecchi. Ma avete detto che avete delle figlie: sono disposto a perdonarvi a patto che una di loro venga spontaneamente qui, a morire al vostro posto; non una parola di più, partite, e caso mai le vostre figlie rifiutassero di morire per voi, giuratemi che tornerete entro tre mesi.››

Al bravuomo non passava neppure per la mente di sacrificare una delle sue figlie a quell’orribile mostro, però si disse: «Almeno avrò la gioia di abbracciarle ancora una volta!». Giurò dunque di tornare, e la Bestia gli disse che poteva partire quando voleva; «ma», soggiunse, «non voglio che partiate a mani vuote. Tornate nella stanza dove avete dormito; vi troverete un baule vuoto ove potrete mettere tutto quel che vi piacerà; penserò io a farlo portare a casa vostra.›› Detto questo, la Bestia se ne andò, e il bravuomo disse fra sé:  «Se proprio devo morire, almeno avrò la consolazione di lasciare un tozzo di pane ai miei poveri figlioli!». Tornò nella stanza dove aveva dormito, vi trovò una gran quantità di monete d’oro e ne riempì pieno zeppo il baule di cui la Bestia gli aveva parlato, lo chiuse e, dopo aver ripreso il suo cavallo, ch’era sempre nella scuderia, uscì da quel palazzo con una tristezza non inferiore alla gioia provata nell’entrarvi. Il cavallo imboccò da sé uno dei sentieri della foresta e, in poche ore, il buonuomo arrivò alla sua casa di campagna.
I figli gli si fecero attorno, e lui, invece d’essere contento delle feste che gli facevano, li guardava, li guardava e non poteva far a meno di piangere. Aveva ancora in mano il tralcio di rose colto per Bella, glielo diede e le disse:  «Bella mia, prendete queste rose, voi non sapete quanto costeranno care al vostro povero padre!». E qui non poté trattenersi dal narrare alla famiglia la triste avventura capitatagli. A tale racconto, le due figlie maggiori cominciarono a strillare e a coprire d’ingiurie Bella, che invece non piangeva.

Bella mia, prendete queste rose, voi non sapete quanto costeranno care al vostro povero padre!.
Bella mia, prendete queste rose, voi non sapete quanto costeranno care al vostro povero padre!.

«Guarda un po’ a che può portare l’orgoglio di questa mocciosetta!», dicevano; «chissà perché lei non doveva chiedere qualche bella cosina, come noi! E invece no, figuriamoci, la signorina voleva fare l’originale! Così adesso sarà causa della morte di nostro padre, e neppure piange!». «Sarebbe proprio inutile››, intervenne Bella; «perché mai dovrei piangere la morte di mio padre quando lui non morirà affatto? Giacché il mostro vuole accettare in cambio una di noi, andrò io ad affrontare la sua furia, e ne sono felicissima perché, morendo, avrò la gioia di salvare la vita a mio padre e di provargli tutto il mio affetto.›› «No, sorellina››, le dissero i tre fratelli,  «voi non morirete; andremo noi a trovare il mostro, e periremo sotto ai suoi colpi se non riusciremo ad ammazzarlo.»    «Non lo sperate, figli miei», disse il mercante; «la potenza di quella Bestia è così grande che non c’è alcun modo d’illudersi di farla morire. Il buon cuore di Bella mi commuove, ma non intendo esporla alla morte. Io sono vecchio, non mi resta che poco tempo da vivere: perderò solo qualche anno di vita che ho motivo di rimpiangere soltanto per voi, miei cari figlioli.›› «E io vi assicuro, padre mio», continuò Bella, «che non andrete in quel palazzo senza di me! Non potete impedire che io vi segua. Sono giovane, è vero, ma non tengo molto alla vita, e preferisco mille volte essere divorata da quel mostro che morire di crepacuore pensando che non ci siete più.››

Per quanto si disse e si fece, Bella volle assolutamente partire anche lei con suo padre alla volta del palazzo, e alle sorelle non parve vero perché le doti della sorellina minore le facevano morire dalla gelosia. Il povero mercante era cosi frastornato dal dolore di perdere la sua bambina, che non pensava più al baule pieno di monete d’oro; ma non appena si fu ritirato nella sua camera per mettersi a dormire, ebbe la lieta sorpresa di trovarselo accanto al letto. Decise però di non dire ai figli ch’era diventato così ricco perché era sicuro che le figlie avrebbero voluto tornarsene in città e lui invece aveva deciso di chiudere i suoi giorni in quella campagna; tuttavia confidò a Bella il suo segreto e lei gli disse che, durante la sua assenza, erano venuti alcuni gentiluomini a trovarle, e due di essi erano innamorati delle sorelle. Pregava quindi il padre di volerle maritare, giacché era così buona che voleva bene a tutte e due e perdonava loro di tutto cuore i dispetti che sempre le avevano fatto.

Quando Bella partì insieme a suo padre, quelle cattivacce dovettero strofinarsi gli occhi con una cipolla per aver l’aria di piangere; i fratelli, invece, piangevano sul serio, e non meno del vecchio mercante. Soltanto Bella non piangeva, per non inasprire il dolore degli altri. Il cavallo prese la via del palazzo e, verso sera, essi lo scorsero, tutto illuminato come la prima volta. Il cavallo andò da solo nella scuderia, e il buonuomo entrò con la figliola nella grande sala, dove trovarono una tavola splendidamente imbandita e apparecchiata per due. Il mercante aveva il cuore così stretto che non gli riusciva di mangiare, ma Bella, studiandosi di parer tranquilla, si mise a tavola e si riempì il piatto; in cuor suo, però si diceva: «La Bestia vuol farmi ingrassare prima di mangiarmi: lo si vede da come mi tratta!››.

«No››, disse la Bestia; «qui non c'è altra padrona che voi: ditemi pure di andar via, se v'importuno, e io me ne andrò subIto. E adesso, ditemi una cosa: non è vero che vi sembro molto brutto?››  «E' vero››, rispose Bella, «giacchè io non dico bugie; credo però che siate buono.››
«No››, disse la Bestia; «qui non c’è altra padrona che voi: ditemi pure di andar via, se v’importuno, e io me ne andrò subIto. E adesso, ditemi una cosa: non è vero che vi sembro molto brutto?››
«E’ vero››, rispose Bella, «giacchè io non dico bugie; credo però che siate buono.››

Quando ebbero cenato, si udì un gran fracasso; il mercante disse addio a sua figlia, con le lacrime agli occhi, giacchè sapeva che la Bestia stava per arrivare. Bella si sentì gelare da capo a piedi quando scorse quell’orribile mostro, ma fece di tutto per dominarsi, e quando egli le chiese se era venuta lì spontaneamente, lei, tremando, gli rispose di sì.
«Siete stata molto buona», disse la Bestia,  «ve ne sono assai grato. Quanto a voi, bravuomo, partirete domattina e non vi farete più rivedere da queste parti. Addio, Bella». «Addio, Bestia», rispose lei; e il mostro sparì.
«Ah, figlia mia!››, disse il mercante stingendosi a Bella, «son già mezzo morto di paura per voi! Datemi retta, vi prego, lasciatemi qui.››
«No, padre mio», gli disse la Bella con grande fermezza; «voi partirete domattina, e mi abbandonerete all’aiuto del cielo; forse il cielo avrà pietà di me!»

Andarono a dormire: si credevano di non poter chiudere occhio tutta la notte, e invece, non appena furono a letto, si addormentarono profondamente. Mentre dormiva, Bella vide in sogno una dama che le disse:
«Son contenta, Bella, del vostro buon cuore; la nobile azione che fate, dando la vita per salvare quella di vostro padre non rimarrà senza ricompensa››. Bella, al risveglio, raccontò a suo padre questo sogno, e quantunque esso li consolasse un poco, non impedì al padre di mettersi a piangere e singhiozzare, quando venne il momento di separarsi dalla figlia.
Quando egli fu andato via, la Bella si sedette nella gran sala e scoppiò anche lei a piangere; ma, essendo piena di coraggio, si raccomandò a Dio e decise di pensarvi su il meno possibile, durante quel po’ di tempo che le rimaneva da vivere; giacché era fermamente convinta che la Bestia l’avrebbe divorata la sera stessa. Intanto, mentre aspettava, decise di fare un giretto e di visitare il castello. Non poteva fare a meno di ammirarne la bellezza, e fu molto stupita nel trovare una porta sulla quale era scritto: Appartamento di Bella. Aprì precipitosamente quella porta e rimase abbagliata della sontuosità che vi regnava; quel che però la colpì maggiormente fu il vedere una grande biblioteca, un clavicembalo e parecchi libri di musica. «Non vogliono che mi annoi», si diceva; e pensò subito dopo: «Se avessi un giorno solo da restar qui, non m’avrebbero preparato tante belle cose…››.

Questo pensiero la rincuorò; aprì la biblioteca e vide subito un libro, ov’era scritto a lettere d’oro: Desiderate e comandate: voi siete qui signora e padrona!
«Povera me!››, si disse, «che altro posso desiderare se non di vedere il mio povero padre e sapere che fa in questo momento?››
Lo aveva detto fra sé, e quale non fu la sua sorpresa quando, nel posare gli occhi su un grande specchio, vide la sua casetta, ove il padre stava arrivando e con un viso triste da non si dire! Le sorelle gli andavano incontro ma, nonostante tutte le loro smorfie per sembrare afflitte, il piacere che avevano per essersi liberate della sorella, traspariva sui loro volti. Un attimo dopo la visione sparì, ma Bella non poté fare a meno di osservare che la Bestia, in fondo, era molto gentile, e quindi lei non aveva nulla da temere.

illustrazioni di Walter Crane
illustrazioni di Walter Crane

A mezzogiorno, trovò la tavola apparecchiata e, durante il pranzo, fu allietata da un’ottima musica, quantunque non si vedesse alcuno. La sera, al momento di mettersi a tavola, udì il fracasso che la Bestia era solita fare e, anche questa volta, il sangue le si gelò nelle vene. «Bella››, le chiese il mostro, «siete contenta se resto qui a guardarvi mentre cenate?›› «Non siete forse il padrone?››, rispose Bella tremando.
«No››, disse la Bestia; «qui non c’è altra padrona che voi: ditemi pure di andar via, se v’importuno, e io me ne andrò subito. E adesso, ditemi una cosa: non è vero che vi sembro molto brutto?››
«E’ vero››, rispose Bella, «giacché io non dico bugie; credo però che siate buono.››
«Avete ragione», continuò la Bestia; «ma oltre ad essere brutto, sono anche stupido: so benissimo d’essere una bestia.››
«Non si è mai una bestia››, disse Bella,  «quando si crede d’essere stupidi. Uno sciocco non ha mai pensato di esserlo.››
«Mangiate, vi prego, Bella», le disse il mostro; «e cercate di non annoiarvi troppo in questa vostra casa; giacché tutto quel ch’è qui vi appartiene, e mi dispiacerebbe assai che non foste contenta.››
«Come siete buono!», disse Bella, «Vi confesso che il vostro buon cuore mi piace; a pensarvi, non mi sembrate più tanto brutto.››
«Ah questo sì››, rispose la Bestia, «ho il cuore buono, ma sono sempre un mostro.››
«Conosco tanti uomini che sono più mostruosi di voi», disse Bella; «e quanto a me, mi piacete più voi con questo vostro aspetto che coloro i quali, sotto un sembiante umano, nascondono un cuore falso, ingrato e corrotto.»
«Se avessi un po’ di spirito››, riprese la Bestia, «Vi farei un bel complimento per ringraziarvi; ma sono uno stupido e tutto quel che so dirvi è che vi sono molto riconoscente.››
Bella cenò con appetito. Non aveva quasi più paura del mostro; ma si sentì mancare il fiato quando costui le disse:
«Bella, volete diventare mia moglie?››. Ella rimase per qualche minuto senza rispondere; aveva paura di svegliare la collera del mostro, rifiutandolo, ma alla fine gli disse, tremando come una foglia: «No, Bestia››.
A questo punto il mostro volle mandar fuori un sospiro, ma gli uscì di bocca un fischio così spaventoso che tutto il palazzo ne rintronò; Bella però fu ben presto rassicurata, giacchè la Bestia, dopo averle detto tristemente: «Allora addio, Bella!›, uscì da quella camera, voltandosi di quando in quando per guardarla ancora. Rimasta sola, Bella fu presa da una gran compassione per quel povero mostro. «Ahimè››, si diceva,  «è un gran peccato che sia così brutto; è così buono!»

Ogni giorno la nostra Bella scopriva nuove doti di bontà in quel mostro; l'abitudine di vederlo l'aveva assuefatta alla sua bruttezza e, invece di veder arrivare con timore l'ora della sua visita serale, ella guardava spesso l'orologio per vedere quanto mancasse ancora alle nove
Ogni giorno la nostra Bella scopriva nuove doti di bontà in quel mostro; l’abitudine di vederlo l’aveva assuefatta alla sua bruttezza e, invece di veder arrivare con timore l’ora della sua visita serale, ella guardava spesso l’orologio per vedere quanto mancasse ancora alle nove

Bella trascorse tre mesi in quel palazzo abbastanza tranquillamente. Tutte le sere, la Bestia veniva a trovarla e le teneva compagnia durante la cena intrattenendola con discorsi pieni di buon senso, ma privi di quel che in società vien chiamato «spirito››. Ogni giorno la nostra Bella scopriva nuove doti di bontà in quel mostro; l’abitudine di vederlo l’aveva assuefatta alla sua bruttezza e, invece di veder arrivare con timore l’ora della sua visita serale, ella guardava spesso l’orologio per vedere quanto mancasse ancora alle nove; giacché la Bestia non tralasciava mai di apparire a quell’ora. Una sola cosa rattristava Bella, ed è che il mostro, prima di andare a letto, continuava a chiederle ogni sera se voleva essere sua moglie, e sembrava addoloratissimo nel sentirsi rispondere di no. Un giorno lei gli disse:
«Bestia, voi mi fate molto dispiacere; vorrei potervi sposare, ma sono troppo sincera per farvi sperare una cosa che non è possibile. Sarò sempre vostra buona amica, accontentatevi di questo››.
«Per forza!», riprese la Bestia, «io sono giusto: mi rendo conto d’essere orrendo, ma vi amo moltissimo; tuttavia mi ritengo abbastanza fortunato se resterete volentieri qui: promettetemi di non lasciarmi mai.›› Ella arrossì a queste parole: nello specchio aveva visto che suo padre si era ammalato per la pena d’averla perduta, ed ella aveva una gran voglia di rivederlo. «Vi potrei promettere di non lasciarvi mai più», disse; «ma ho un tale desiderio di rivedere mio padre, che morirei di crepacuore se mi rifiutaste questa grazia».
«Preferirei morire io stesso››, disse il mostro, «piuttosto che darvi un dispiacere; vi manderò da vostro padre, voi resterete lì, e la vostra povera Bestia morirà di dolore! «No››, disse Bella piangendo, «vi voglio troppo bene per voler causare la vostra morte. Vi prometto di tornare fra otto giorni. Voi m’avete fatto vedere che le mie sorelle si sono sposate e i miei fratelli sono andati sotto le armi; mio padre adesso è solo: lasciatemi stare una settimana con lui!›› «Domattina sarete a casa», disse la Bestia, «ma ricordatevi della vostra promessa: quando vorrete tornare, non avrete che da posare il vostro anello sopra il tavolino prima d’andare a letto. Addio, Bella.›› Nel dire queste parole, la Bestia sospirò, secondo il suo solito, e Bella andò a letto tutta triste per avergli dato quel dispiacere.

Tutte le sere, la Bestia veniva  a trovarla e le teneva compagnia durante la cena intrattenendola con discorsi pieni di buon senso, ma privi di quel che in società vien chiamato «spirito››.
Tutte le sere, la Bestia veniva a trovarla e le teneva compagnia durante la cena intrattenendola con discorsi pieni di buon senso, ma privi di quel che in società vien chiamato «spirito››.

Quando si svegliò, il mattino dopo, si ritrovò nella casa di suo padre e, dopo aver tirato il campanello che era accanto al suo letto, vide arrivare la servetta, che, scorgendola, lanciò un urlo di sorpresa. A sentire quell’urlo, il bravuomo accorse e fu lì lì per morire dalla gioia nel rivedere la sua cara bambina; rimasero abbracciati per più d’un quarto d’ora. Dopo le prime tenerezze, Bella non sapeva come fare ad alzarsi dal letto, perché pensava di non avere neppure un vestito, ma la servetta le disse che, nella camera vicino, ella aveva trovato un gran baule pieno d’abiti tutti d’oro e adorni di brillanti. Bella ringraziò in cuor suo la Bestia di tante attenzioni, poi prese per sé la meno ricca di quelle vesti e disse alla servetta di riporre le altre: le voleva regalare alle sorelle, ma non aveva neppure finito di dirlo che il baule era scomparso. Il padre le spiegò che certamente la Bestia voleva ch’ella tenesse per sé tutte quelle belle cose; e subito abiti e baule ritornarono al loro posto. Bella si vestì e, nel frattempo, furono avvertite le sorelle, le quali arrivarono di corsa insieme ai loro mariti. Erano tutt’e due molto infelici: la maggiore aveva sposato un cavaliere bello come un Adone; ma egli era così innamorato della propria persona che non pensava ad altro, dal mattino alla sera; e tanto meno si curava della bellezza di sua moglie ch’egli disprezzava. La seconda aveva sposato un uomo pieno di spirito; ma di questo spirito egli non si serviva che per fare disperare tutti quanti, a cominciare dalla moglie.

Le sorelle di Bella, quando la videro, vestita come una principessa e più scintillante del sole, mancò poco non scoppiassero dalla bile. Ella ebbe un bell’accarezzarle, non poté soffocare la loro gelosia, che raddoppiò quando ebbero saputo che la sorella era felice. Le nostre due invidiose scesero in giardino, per poter sfogare la loro rabbia, e si dicevano l’una all’altra: «Chissà perché mai quella mocciosa dev’essere più felice di noi! Non siamo forse più graziose di lei?››. «Sorella mia», disse la maggiore, «mi viene un’idea: cerchiamo di trattenerla qui per più di otto giorni; quella sua stupida Bestia salirà su tutte le furie nel vedere che lei non ha mantenuto la sua parola, e finalmente se la mangerà!» «Dici bene, sorella mia», rispose l’altra. «Ma allora bisogna che le facciamo un mucchio di moine.›› Dopo aver preso questa decisione salirono in casa e fecero a Bella tante di quelle feste che questa ne pianse per la gioia.
Quando gli otto giorni furono passati, le sorelle cominciarono a strapparsi i capelli e a fingersi così addolorate che Bella promise di restare altri otto giorni. Si rimproverava però il dispiacere che in tal modo dava alla sua povera Bestia, alla quale voleva molto bene, tanto che, adesso, ella sentiva la sua mancanza. La decima notte che trascorse in casa di suo padre, sognò di trovarsi nel giardino del palazzo e di vedere la Bestia sdraiata sull’erba e quasi morente che le rinfacciava la sua ingratitudine.
Bella si svegliò all’improvviso e le venne da piangere: «Non son cattiva››, si disse, «a far tanto dispiacere a un mostro che è stato così gentile con me? E’ colpa sua, forse. se è brutto e così poco spiritoso? E’ buono, e questo conta più di tutto il resto. Perché non ho voluto sposarlo? Sarei più felice io con lui che le mie sorelle coi loro mariti. Non è né la bellezza né lo spirito d’un marito a rendere la moglie contenta, è la bontà del carattere, la virtù, le buone maniere; e il mostro ha tutte queste buone qualità. Non ne sono innamorata, è vero, ma lo stimo e ho per lui sentimenti d’amicizia e di riconoscenza. Suvvia, non e giusto ch’io lo renda infelice: per tutta la vita non potrei perdonarmi la mia ingratitudine!».
Nel dir così, Bella si alza, va a mettere il suo anello sul tavolino e se ne torna a letto. Non appena fu sotto le coltri, s’addormentò di colpo, e fece tutt’un sonno fino al mattino.

Svegliandosi, vide con piacere ch’era di nuovo nel palazzo della Bestia. Si vestì con gran cura per piacergli di più e tutta la giornata si annoiò da morire aspettando che si facessero le nove; ma l’orologio ebbe un bel suonare: la Bestia non si fece vedere. Bella allora temette d’aver provocato la sua morte. Si diede a correre per tutto il palazzo piangendo e chiamandolo a gran voce: era proprio disperata.

il dolore che sento mi fa capire che non potrei più vivere senza vedervi!
il dolore che sento mi fa capire che non potrei più vivere senza vedervi!

Dopo aver cercato da tutte le parti, le tornò alla mente il suo sogno e corse nel giardino, dalla parte del canale, dove l’aveva vista dormendo: la povera Bestia era lì, stesa in terra, priva di sensi; Bella credette che fosse morta, si gettò sul suo corpo senza provare alcun ribrezzo per la sua persona e, accorgendosi che il suo cuore batteva ancora, prese un po’ d’acqua e le bagnò la testa.
La Bestia aprì gli occhi e disse a Bella: «Avete dimenticato la vostra promessa; il dolore di avervi perduta mi ha spinto a lasciarmi morire di fame, ma adesso muoio contento, perché ho avuto il piacere di rivedervi ancora una volta››.
«Ma no, mia cara Bestia, voi non morrete!›>, gli disse Bella, «voi dovete vivere per diventare mio marito: fin da questo istante vi do la mia mano e giuro che non sarò d’altri che vostra. Ahimè! Credevo di provare per voi soltanto una buona amicizia, ma il dolore che sento mi fa capire che non potrei più vivere senza vedervi!»

Appena Bella ebbe detto queste parole, ecco che tutto il castello si diede a brillare di mille luci: lumi, fuochi d’artificio, musica, tutto le annunciava una grandissima festa. Ma tante meraviglie non trattennero a lungo i suoi occhi; ella si voltò subito verso la sua cara Bestia il cui stato la teneva ancora in agitazione… Ma quale fu la sua sorpresa? La Bestia era sparita, e ai suoi piedi ella non vide più che un principe bello come il dio Amore, che la ringraziava per aver rotto l’incantesimo di cui era vittima. Quantunque un principe cosiffatto meritasse tutta la sua attenzione, ella non poté impedirsi di chiedergli dove fosse la Bestia.
«È qui, ai vostri piedi››, disse il Principe. «Una cattiva fata m’aveva condannato a restare sotto quell’orribile sembiante sino a quando una bella fanciulla non avesse acconsentito a sposarmi, e mi aveva anche vietato di mostrarmi intelligente. E così, in tutto il mondo, non c’eravate che voi così buona da potervi innamorare della bontà del mio carattere; offrendovi la mia corona non posso certo sdebitarmi di tutta la riconoscenza che provo per voi.››
Bella, gradevolmente sorpresa, porse la mano a quel bel principe perché si rialzasse. Insieme essi raggiunsero il castello, e Bella si credette di morire dalla gioia, quando nella gran sala vide suo padre e tutta la famiglia, ch’era stata trasportata al castello da quella bella dama che un giorno le era apparsa in sogno.
«Bella››, le disse quella dama ch’era una potentissima fata, «venite a ricevere il premio dell’ottima scelta che avete fatta; voi avete preferito la virtù alla bellezza, e anche allo spirito: meritate di trovare tutte queste doti riunite in una sola persona. Inoltre diverrete una grande regina, ma ho fiducia che il trono non distruggerà le vostre virtù! Quanto a voi, signore mie››, disse la Fata alle due sorelle di Bella, «conosco bene il vostro cuore e tutta la malizia che v’è dentro: diverrete due statue, pur conservando tutto il vostro intendimento sotto la pietra che vi avvolgerà. Starete mute e immobili alla porta del palazzo di vostra sorella, e non vi do altra pena che quella di dover assistere alla sua felicità. Non potrete tornare al vostro primitivo stato che allorquando riconoscerete pienamente tutti i vostri torti; ma ho gran paura che dobbiate rimanere statue per sempre! L’orgoglio, l’ira, la gola e la pigrizia si possono correggere, ma è una specie di miracolo la conversione d’un cuore cattivo e invidioso!»
A questo punto, la Fata toccò tutti quelli ch’erano nella sala con la sua bacchetta magica e li trasportò nel reame del Principe. I suoi sudditi lo rividero con gioia, e lui sposò la sua Bella, con la quale visse lungamente in una felicità perfetta, perché basata sulla virtù.

Utile

4 risposte a "La Bella e la Bestia, di Madame Leprince de Beaumont. Versione integrale"

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