Maria Chisjnera. Maria Cenerentola in “Sos contos de foghile.” I racconti del focolare. Fiabe e leggende della Sardegna, di Francesco Enna
fiaba logudorese del Meilogu
Per omaggiare la terra che mi ospita in questo momento, ecco una, tra le più di 50 versioni, della fiaba di Cenerentola, che esistono solo in Sardegna. Una fiaba che, come le altre raccolte nel libro “Sos contos de foghile”, è stata raccontata intorno al focolare e tramandata e poi trascritta.
Questa versione di Cenerentola è sicuramente la mia preferita per due principali motivi,
una contaminazione, ben riuscita, con la fiaba “La Bella e la Bestia“, le fa “rubare” un’azione, con una trovata da sorpresa finale. Non posso svelarvela ma sappiate che c’entra con la gentilezza.
un’ azione, una piccola azione, ripetuta ben due volte, con cui Maria Chisjnera si vendica delle sorellastre di tutte le Cenerentole presenti al mondo. Una piccola azione gratuita, piccola e senza conseguenze per nessuno, neppure per la fiaba, “uno schiaffo per un garofano…uno schiaffo per una rosa”. E non poteva che essere una Cenerentola sarda a vendicare con leggerezza e ironia tutte le Cenerentole del mondo.
Maria Chisjnera. Maria Cenerentola
Custu fit unu babbu battiu chi aiat tres fizas. Sa sus minore fit Mariedda. Issa fit sempre in coghina in mesu a sos furreddos, e gai la giamaian Chisjnera.
Stava sempre in cucina, tra i fornelli, perciò tutti la chiamavano Chisjnera (Cenerentola). Illustrazione di Edmund Dulac
C’era un vedovo che aveva tre figlie. La più piccola si chiamava Mariedda. Stava sempre in cucina, tra i fornelli, perciò tutti la chiamavano Chisjnera (Cenerentola).
Il padre faceva il mercante. Un giorno disse alle figlie:
«Devo andare in città. Che cosa volete che vi porti?››.
«A me un vestito di seta, per indossarlo alla Messa di domani», rispose Minnia, la figlia più grande.
«A me un vestito di raso, per la Messa di domani», disse Lughia, la seconda figlia.
«E tu, Mariedda, che cosa desideri?››.
«Per me niente, babbo mio – rispose Mariedda – vorrei solo un favore: salutate per me l’uccello mediano che sta sul grande noce››.
Il padre andò in città, comprò i vestiti per le due figlie maggiori e ritornò indietro. Ma mentre passava sotto il grande noce, si dimenticò della promessa fatta a Chisjnera, perciò il cavallo si fermò e non volle più andare né avanti né indietro. L’ uomo guardò allora tra le fronde del noce e vide su un grosso ramo tre uccelli. Quello che stava al centro appariva imbronciato. L’ uomo gli disse:
«Uccello mediano! Tanti saluti da Mariedda, mia figlia».
Allora l’uccello si rallegrò e rispose:
«Altrettanto a lei. Datele questa noce e ditele che gliela mando io».
L’uomo ritornò a casa e diede i vestiti alle figlie maggiori e la noce a Chisjnera.
L’indomani era domenica. Le due sorelle indossarono i vestiti nuovi ed erano molte belle.
«E tu, Chisjnera, non vieni a Messa?››.
«No, oggi non posso venire», rispose.
«Sei stata stupida a non chiedere al babbo un vestito nuovo. Ora ti vestirai con la noce››. E andarono a Messa. Ma non appena furono uscite, Chisjnera prese la noce e l’aprì. Subito ne vennero fuori tante piccole fate che presero a tessere un vestito di seta e di raso, con campanelline d’oro e d’argento. E quando fu terminato, rivestirono Chisjnera, la pettinarono e le misero un bel garofano tra i capelli. Quindi Maria andò a Messa, ed era così bella con quel vestito incantato, che nessuno la riconobbe, nemmeno le due sorelle.
In chiesa c’era anche un bel giovane, che nessuno conosceva, il quale guardava Chisjnera ammirato. E allora Minnia osservò:
«Non è tanto lei che guarda, quanto quel bel garofano che porta tra i capelli».
Data la benedizione, Chisjnera uscì di gran fretta dalla chiesa, e Minnia le andò dietro.
«Bella signorina – le disse – se mi donerete quel bel garofano, vi farete un’amica››.
«Sì, ve lo darò – rispose Chisjnera – però voi dovrete farvi dare uno schiaffo».
Cenerentola, illustrazione di John Everett Millais
Minnia rispose di sì e ricevette un bel ceffone in faccia e il garofano. Quando il giovane uscì dalla chiesa, si mise ad inseguire Minnia, credendola Chisjnera per via del garofano in testa. E così Chisjnera poté fuggire. Quando rientrò a casa, si spogliò, rimise il vestito dentro la noce e ritornò ai suoi fornelli.
Il sabato successivo, il padre disse che si sarebbe recato nuovamente in città:
«Che cosa volete, questa volta?››.
«A me uno scialle di seta, per andare a Messa››, disse Minnia.
«A me uno scialle di raso», disse Lughia.
«E tu, Mariedda, non vuoi niente?››.
«No, babbo mio. Salutatemi l’uccello mediano che sta sull’albero di mandorle››.
Così l’uomo tornò in città, comprò gli scialli e, mentre rientrava, dimenticò ancora di salutare l’uccello mediano. Allora il cavallo si fermò. L’uomo alzò lo sguardo e vide l’uccello mediano sul mandorlo.
«Tanti saluti da Mariedda, mia figlia».
L’uccello, contento, gli gettò una mandorla perché la desse a Maria. L’uomo ritornò a casa e diede gli scialli alle figlie maggiori e la mandorla a Chisjnera. L’indomani andarono di nuovo a Messa.
illustrazione di Val C. Prinsep
«E tu, Chisjnera, non vieni?››.
«Eh, andate pure, voi, andate!».
E quando le sorelle uscirono, lei aprì la mandorla e vennero fuori altre fatine, che la rivestirono con l’abito di campanelle d’oro e d’argento, le misero sulle spalle uno scialle di luna e di stelle, e tra i capelli una rosa rossa. E così Chisjnera andò a Messa. Anche questa volta c’era il giovane, che la guardava incantato.
«Non è tanto lei che guarda – disse Lughia – quanto quella bella rosa che ha tra i capelli».
Anche Lughia, finita la Messa, domandò a Chisjnera la rosa.
«Sì – rispose – ma insieme alla rosa dovrò darvi uno schiaffo».
Lughia si prese lo schiaffo e la rosa, e partì. Il giovane uscì dalla chiesa, vide la rosa e prese a seguire Lughia. Così Chisjnera anche questa volta riuscì a svignarsela.
Il sabato dopo, il padre ritornò in città.
«Che cosa devo portarvi?›› domandò.
«A me un paio di scarpe di velluto», disse Minnia.
«A me un paio di scarpe di broccato», disse Lughia.
«E tu, Mariedda?››.
«Niente, babbo mio. Soltanto salutatemi l’uccello mediano che sta sulla quercia grande››.
Il padre partì, comprò le scarpe e ritornò. Mentre passava sotto la quercia vide l’uccello mediano, che appariva triste come l’inverno.
«Tanti saluti da Mariedda, mia figlia», gli disse.
«Altrettanto a lei! Prendete: datele questa ghianda».
E così fece.
illustrazione di Arthur Rackham
L’indomani c’era gran festa, in quel paese, e l’uomo aveva invitato a pranzo molte persone, perché sperava di trovar marito per le sue figlie.
«Andate a Messa – disse Chisjnera – che al pranzo penserò io».
«Ih – dissero le sorelle – sarà la solita minestra e fagioli. Bella vergogna!».
«Non sarà così! Vedrete che vi farò fare una bella figura».
Uscirono tutti, e allora Chisjnera aprì la ghianda. Ed ecco venir fuori dei servitori, i quali si misero svelti a preparare il pranzo: una gran tavolata come alla corte reale. Poi uscirono le fatine che vestirono Chisjnera con l’abito di campanelle d’oro e d’argento, lo scialle di luna e di stelle e due scarpette di cristallo. Maria andò a Messa, ma quando scappò, perse una scarpetta. Svelto il giovane la raccolse e la nascose. Poi andarono tutti a casa del mercante e rimasero a bocca aperta: c’erano arrosti, porcetti, dolci, ravioli e vino d’ogni qualità. Mangiarono contenti, e le sorelle maggiori si presero tutto il merito del pranzo. Sul più bello, ecco il giovane, che era un principe, il quale disse:
«La donna che calzerà meglio questa scarpa di cristallo, sarà la mia sposa».
Tutte le donne nubili si buttarono a misurare la scarpa, comprese le due sorelle di Chisjnera: ma la scarpa non andava bene a nessuna. Allora il padre disse:
«Ma io ho anche una terza figlia».
«Chi, Chisjnera? – esclamò Minnia – Quella stracciona non può essere degna d’un principe».
«Fatela venire ugualmente››, disse il principe.
Chiamarono Chisjnera, che provò la scarpa e la calzò perfettamente.
«Tu sei Mariedda››, esclamò il principe, felice come un papa.
«E tu sei l’uccello mediano, condannato a volare da un albero all’altro finché una persona gentile non ti avesse salutato», rispose Maria Chisjnera.
Allora uscirono ancora le fate e la rivestirono con l’abito di campanelle d’oro e d’argento, lo scialle di luna e di stelle e la seconda scarpa di cristallo.
Si sposarono… ma a me non invitarono.
Tando nd’essin torta sas fadas e la estini cun s’estire de campanellas de oro e de prata, cun s’iscialle de luna e de istellas e s’attera iscarpa de cristallu. Si sun cojuados…ma a mie no n’hana invitada.
Una risposta a "Maria Chisjnera. Maria Cenerentola. Fiabe e leggende della Sardegna"