I desideri ridicoli, di Charles Perrault, da I racconti di MammaOca. Per Carnevale mi sembra proprio la fiaba adatta, anche se, invece di un capovolgimento di sorte “previsto” dagli antichi riti del Carnevale, per cui un poveraccio poteva per un giorno farsi Re, qui, data la diversa sottolineatura di intenti, il povero contadino, tale rimane. E ben gli sta.
La morale di questa fiaba è semplicissima:
non tutti sanno usare i doni della Provvidenza,
ovvero, non è così semplice esprimere desideri.
Perrault scrisse questa fiaba in versi, e questa è la prima versione che vi propongo, raccontatela così ai bambini, vedrete che meraviglia dire e sentire le rime!
Appare, al posto delle benevole fate di Perrault, il dio Giove, che nelle fiabe è davvero difficile che passi inosservato, ma tant’è… un contadino che si lamenta così tanto della sua triste sorte, doveva scomodare anche gli dei……
Pensa a ciò che i tuoi giorni rende vuoti,
a ciò che ti conviene;
il destino dipende dai tuoi voti:
prima di farli, riflettici bene.
Segue una versione in prosa, meno evocativa, ma pur sempre divertente e bella.
C’è di che immedesimarsi…

Giove gli apparve col fulmine in mano;
n’ebbe un tale spavento |
che descriverlo è sforzo quasi vano.
I desideri ridicoli, illustrazioni di Harry Clarke
C’era una volta un taglialegna povero
che, stanco di penare,
diceva di cercare
in riva d’Acheronte il suo ricovero,
e ripeteva con dolor profondo
che, da quando era al mondo,
nessuna voglia aveva concepita
che su nel Cielo gli fosse esaudita.Mentre sfogava nel bosco il tormento,
Giove gli apparve col fulmine in mano;
n’ebbe un tale spavento |
che descriverlo è sforzo quasi vano.
“Non chiedo niente,” disse, a terra prono.
“Rinuncio a ogni follia
se tu rinunci al tuono.
Signore, restiam pari, e così sia.”
“Bandisci il tuo timore,”
gli disse Giove in tono di conforto.
“Or ti dimostro quanto mi fai torto.
Ascolta: sul mio onore
io, che del mondo intero ho reggimento,
ti faccio giuramento
ch’esauditi vedrai
i primi tre desideri che avrai.
Pensa a ciò che i tuoi giorni rende vuoti,
a ciò che ti conviene;
il destino dipende dai tuoi voti:
prima di farli, riflettici bene.Ciò detto, Giove nei suoi Cieli sale.
Felice, il boscaiolo in spalla getta
la fascina e ritorna alla casetta.
Quel peso mai gli apparve più banale.
Trottignando diceva: “Non si deve
con leggerezza far cosa non lieve.
Qui ci vuole il parere della moglie.”
Come fu sotto il suo tetto di foglie:
“Cara Fanchon,” gridò, “voglio un gran fuoco,
sarò ricco tra poco,
basta ch’esprima al Cielo le mie voglie.”
E in un fiato le narra l’avventura.
Nella mente di lei già si matura
di progetti un magnifico palazzo;
ma per la gran paura
di perder tutto con un gesto pazzo:
“Caro il mio Biagio,” disse, “usiam prudenza,
freniamo l’impazienza;
pensiamo bene a ciò ch’è meglio fare
e rimandiamo a domani l’affare.
Gran consigliera, come sai, è la notte.”
“La penso anch’io così,” disse il buon Biagio,
“ma prendi un po’ di vino dalla botte
ch’è dietro la fascina.”
Poi, presso il fuoco degustando adagio
del riposo la gioia sopraffina,
s’appoggiò alla spalliera
e parlò in tal maniera:
“Con questa brace, ci vorrebbe un braccio
del miglior sanguinaccio.Non aveva finito di parlare
che Fanchon vide fuori dal camino
un lungo sanguinaccio serpeggiare
e farsi a lei vicino.
Acute strida lanciò inizialmente;
ma poiché l’avventura
era a cagion della voglia imprudente
che Biagio aveva espresso
per stupidità pura,
non ci fu insulto poi che fosse omesso
da lei, ricolma di umore bilioso,
contro il povero sposo.
“Possiamo aver,” gridò, ‘dei vasti imperi,
oro, perle, diamanti,
abiti sfavillanti,
e così sprechi i nostri desideri?”
“E va bene,” egli disse, “ho fatto male,
ho commesso un errore colossale,
ho sbagliato la scelta:
farò di meglio la prossima volta.”
“Aspetteremo un pezzo!” ella rispose.
“Soltanto un folle può far certe cose!”
Più d’una volta l’uomo fu tentato
di chiedere agli dèi la vedovanza
e, sia detto tra noi, simile istanza.
forse forse gli avrebbe anche giovato…
“Ah, che l’esser marito è un triste caso!”
disse. “Sia maledetto il sanguinaccio!
Al Cielo voti faccio
Perch’ esso ti finisca appeso al naso!”
In Cielo la preghiera fu ascoltata
come fu pronunciata:
sul naso della moglie maldisposta
la vivanda fu posta.
Molto ferì Fanchon tale disgrazia:
era piacente, aveva buona grazia,
e a dir la verità
quel sanguinaccio, messo proprio là,
non era certo un gran bell’ornamento;
questo però, ricadendo sul mento,
rendeva il suo parlare faticoso,
e ciò un gran dono appariva allo sposo
che si scoprì a pensare, in quei momenti,
più nulla aver da chiedere ai Potenti.“Io potrei bene,” diceva tra se,
“dopo questa funesta
faccenda, con il voto che mi resta
d’un colpo farmi re.
Nessun uomo un sovrano può uguagliare,
ma occorre anche pensare
a come sarà fatta la regina,
all’angoscia di quella poverina
nel salire sul trono
con un naso ch’è lungo come un braccio.
Io dell’avviso sono
che, in simile affaraccio,
debba ella stessa decider che fare:
s’essere quella che su tutti regna
e l’orribile naso conservare
o se d’un taglialegna
restare la consorte
e avere dalla sorte
il medesimo naso
che aveva prima dell’orrendo caso.”Ogni cosa ben bene esaminata,
la donna, pur sapendo
qual potere tremendo
sia concesso a persona incoronata,
e comprendendo pure
che quando son sul trono
i nasi tutti incantevoli sono,
poiché di tutte quante le sue cure
nessuna uguaglia quella di ammirarsi,
preferisce restare contadina
che diventar regina
e con disgusto ogni giorno specchiarsi.Così il buon Biagio restò tale e quale:
non acquistò un impero universale
e non riempì di scudi la sua borsa.
Troppo felice fu, con la risorsa
del terzo desiderio,
d’offrirsi il ben modesto refrigerio
d’aver la moglie amata
proprio così com’era sempre stata.Agli uomini che son di un certo stato,
ottusi e inconcludenti,
mutevoli e scontenti,
l’esprimer desideri non è dato:
ben pochi infatti sanno con prudenza
usare i doni della Provvidenza.

I desideri ridicoli, versione in prosa
C’era una volta un taglialegna, il quale, stanco della vita, così almeno diceva, aveva gran voglia di andarsene all’al di là. Da che era venuto al mondo, a sentir lui, il cielo spietato non aveva mai voluto esaudire un solo dei suoi desideri. Un giorno che così si lamentava nel bosco, gli comparve Giove con in mano un fulmine. Figurarsi la paura del pover’uomo!
“Niente voglio”, esclamò gettandosi a terra, “niente desideri, niente fulmini, e siamo lesti!”
“Non temere”, lo rassicurò Giove.” Commosso dai tuoi pianti, vengo a mostrarti il torto che mi fai. Ascoltami. Io, sovrano del mondo, ti prometto di esaudire i primi tre desideri che ti verranno in mente, quali che essi siano. Pensa a quel che meglio potrebbe formare la tua felicità; ma poiché questa dipende tutta dai tuoi voti, pensaci bene prima di farli.”
Ciò detto, disparve. E il taglialegna, caricatosi il suo fardello, che gli parve ora una piuma, se ne tornò tutto lieto a casa.
“Bisogna,” diceva cammin facendo, “contenersi con giudizio; bisogna anche, vista l’ importanza del caso, pigliar consiglio da mia moglie.” Entrato che fu nella capanna, subito contò ogni cosa.
“Orsù, disse, facciamo un bel fuoco, cara la mia Gegia. Siamo ricchi oramai, non dobbiamo che desiderare.” Non è a dire se la moglie formasse in mente mille e mille progetti; ma, considerato che bisognava agir con prudenza: “Biagio”, disse, “amico mio, non guastiamo ogni cosa con la nostra impazienza. Vediamo bene quel che si ha da fare, e rimandiamo a domani il nostro primo desiderio. La notte si sa, porta consiglio.”
“Ben detto!” approvò il marito. “Ma intanto va a spillare un po’ di vino di dietro a quei fascinotti.” Arrivato il vino, bevve, si sdraiò sulla sedia e gustando tutta la dolcezza del riposo, esclamò: “Con una bella fiammata come questa, ci vorrebbe proprio un metro di salsiccia.”

Non appena dette queste parole, eccoti un lungo capo di salsiccia spuntare da un angolo del cammino e accostarsi serpeggiando alla moglie. Gettò questa un grido; ma, pensando subito che la cosa era dovuta alla imprudenza del marito, si scagliò contro il pover’uomo con ogni sorta d’ingiurie. “Quando si può avere un regno, disse: oro, perle, diamanti, broccati, tu, bietolone, mi tiri fuori la salsiccia!” “Ebbene, ho torto, confessò Biagio; ho scelto male, ho commesso un errore, farò meglio un’altra volta.” “Sì, sì, aspetta, ribatté la donna, animale che non sei altro!” Seccato e irritato di questi rimproveri, il marito stette lì lì per desiderare di diventar vedovo; e forse, sia detto fra noi, non poteva far di meglio. “Gli uomini”, disse, “son davvero nati per soffrire! Maledetta sia la salsiccia e la tua mala grazia! Piacesse al cielo, brutta strega, che ti pendesse alla punta del naso!” La preghiera fu all’istante esaudita.
Detto fatto, il metro di salsiccia s’attaccò al naso di Gegia. La poverina non era brutta, e per dir la verità quell’ornamento non faceva buon effetto, ancor di più che scendendole penzoloni sulla bocca, gliela chiudeva a tutti i momenti, impedendole di parlare: gran fortuna per un marito!
“Potrei benissimo, diceva Biagio fra sé, per riscattarmi di questa disgrazia, col terzo desiderio che mi avanza farmi re addirittura… Ma bisogna anche pensare alla bella figura che mi farebbe la regina, assisa in trono con un metro di salsiccia attaccata al naso. Sentiamo il suo parere: se più le piace di diventare una sovrana con quel po po di naso, o invece rimaner contadina con un naso come l’hanno tutti”
Esanimato bene il caso, e benché sapesse quel che valga uno scettro e che quando si è coronati si ha sempre un naso ben fatto, Gegia decise di conservare la sua cuffiona da contadina, piuttosto che esser regina e brutta. E così il taglialegna non divenne né potentato né ricco; e fu ben felice di giovarsi del terzo desiderio che gli avanzava, perché la moglie tornasse ad essere quel che era.
Tant’è che non tocca agli uomini miserabili, per natura incostanti, ciechi, poco saggi e avventati, formar dei desideri; che pochi fra essi son capaci di ben giovarsi dei doni largiti loro dal cielo.
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