Il carnevale è stato cancellato dal calendario… Tranne per i bambini e gli artisti.

Il carnevale è stato cancellato dal calendario… Perché creare uno spazio per la trasgressione, quando quasi tutte le trasgressioni sono state sdoganate? La funzione di questo genere di riti del rovesciamento è esaurita? Forse, tranne per i bambini e gli artisti.

La figlia: Mamma, Nico vuol vestirsi da pirata, hai il cappello? La spada che gli hai regalato, lasciamo perdere, deve fare la sfilata per il paese, rischia di far fuori qualcuno… Gli faresti anche il mantello? 🙂
Valeria: Scusa, hai delle piume? Belle grandi da fare un cappello da moschettiere? O sai dove posso trovarle? E’ ufficiale comunque: il carnevale è stato cancellato dal calendario. I negozi cinesi non lo prendono in considerazione. E nemmeno i grandi centri commerciali… a me serve un cappello da moschettieri o in alternativa una piuma da cucire su un cappello da cowboy!!!!
E dato che noi mammaoche siamo sempre sul pezzo, nel senso che prendiamo una piuma da ballerina di Charleston e la facciamo svolazzare sul cappello del baldo D’Artagnan con grande dignità,
ecco che Valeria ci ha scritto un post.

In un tempo come il nostro, in cui tutto scorre in un flusso di perenne abbondanza, dove i negozi sono aperti anche la domenica, i supermercati anche la notte e comunque ti puoi togliere lo sfizio di acquistare un paio di scarpe persino alle tre del mattino, seduto sul tuo divano, mentre guardi una partita di basket che si é svolta all’ora di colazione!… in un tempo come questo,  feste come il Carnevale hanno perso il loro fascino e il loro significato. A cosa serve concentrare gli eccessi in un periodo dell’anno limitato, quando posso eccedere sempre? Perché creare uno spazio per la trasgressione, quando quasi tutte le trasgressioni sono state sdoganate? La  funzione di questo genere di riti del rovesciamento é esaurita. Nell’ultimo secolo il Carnevale é diventato roba da bambini. Gli unici che pare siano ancora in grado di goderne, insieme agli artisti …

E qui veniamo a un’altra constatazione: la pittura del ‘900 trabocca di immagini ispirate al Carnevale!
Me lo ha fatto notare un’amica, che negli scorsi giorni mi ha girato una selezione di immagini di grandi pittori del XX secolo, i quali si sono lasciati suggestionare dal clima sovversivo e provocatorio del Carnevale e dalle maschere della commedia dell’arte italiana.
Picasso, Miró, Chagall, Cezánne, Severini.
Dal momento che le due categorie umane sopracitate (bambini  e artisti!) sono tra le mie preferite e so che fra di loro si capiscono perfettamente, vi propongo i dipinti in oggetto.

Paulo vestito da Arlecchino, di Picasso

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Picasso amò molto Arlecchino. Lo dipinse più volte  e fece indossare il suo abito a diversi personaggi reali per raccontare i contrasti e l’ambiguità che l’animo umano può nascondere. Vestì da Arlecchino anche il figlio Paulo di appena di tre anni e lo dipinse con lo sguardo malinconico, lasciando volutamente i piedini e la poltrona cui si appoggia non compiuti, perché tutto desse l’idea di incertezza e di precarietà del divenire.

Arlecchino pensoso, di Picasso

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Ho letto, di questo Arlecchino, che simboleggia l’uomo moderno che vive una contraddizione tra il suo essere uomo e il suo essere personaggio e pensa, ma sa che non ci sono risposte per le sue domande. Beh, a me colpisce il fatto che si ostini a pensare, che non possa proprio far a meno di fermarsi e porsi le domande che crede senza risposta, come un uomo assetato al quale hanno spiegato che l’acqua non esiste.

Martedì grasso, di Cézanne

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E’ strano che proprio lui, Cézanne, che pure aveva un pallino per i colori, pastosi e spessi, riduca l’abito di Arlecchino a una scacchiera rossa e nera: quella di Arlecchino, mi sa, é ormai una divisa e i suoi gesti sono pose, in un teatro da cui non vede l’ora di venir via.

Il carnevale di Arlecchino, di Mirò

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A dispetto delle parole difficili con cui gli esperti ne parlano (surrealismo, oggetti-simbolo, elementi onirici, metafisica!) è sicuramente una delle opere più copiate nelle scuole dell’infanzia di tutto il mondo! Un vero pozzo di spunti interessanti per le maestre d’asilo e per i piccoli artisti di oggi che devono scavare davvero poco per raggiungere le profondità nel proprio subconscio e non hanno motivo per temere ciò che possono trovare. Lo tirano fuori (anzi spesso balza su da sé) e scoprono che assomiglia molto al mondo che li circonda e alle simpatiche figure del quadro di Mirò e, senza farsi troppe domande, di solito lo rappresentano come sanno…

Le maschere di Gino Severini

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Gino Severini era un amico di Picasso e come Picasso fu affascinato dalle maschere della commedia dell’arte, che interpretò in modo diverso, ovviamente, innanzitutto perché era italiano. Per lui infatti Pulcinella, Arlecchino e le altre maschere della tradizione erano uno strumento per riappropriarsi della propria identità, un simbolo dell’italianità che di fatto egli vende agli stranieri riscuotendo grande successo. Come fa quando i ricchi inglesi che avevano acquistato il castello cinquecentesco di Montegufoni in Toscana gli affidano il compito di affrescare uno dei salotti del maniero e lui dipinge una serie di splendidi paesaggi italiani, all’interno dei quali rappresenta gruppi di eleganti e gaie maschere con i volti dei padroni di casa.

Carnevale notturno, di Chagall

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C’é una lotta qui tra il buio e questi ostinati punti luce, gli sprazzi di colore, i lampi di energia. I critici dicono che in pieno periodo nazista, Chagall intendesse rappresentare l’arte quale unica forza capace di contrastare il Male. E secondo me vince…

Finiamo con Pieter Bruegel il Vecchio, che anticipa tutti gli artisti citati e nel Cinquecento, quando non c’era ancora dubbio sull’opportunità di far baldoria come si deve quando si può, rappresentava un allegorico scontro tra l’opulento Carnevale e la misera Quaresima, nella piazza affollata di uno dei soliti villaggi nordici. Di questo quadro, i critici sottolineano la sfumata divisione in due parti: più luminosa quella di sinistra dove si trovano i seguaci del Carnevale, più scuro, ombroso, contrito e triste il fronte quaresimale, dove si trascinano i penitenti, gli oranti, i mendicanti.

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In realtà il pittore fiammingo distribuisce piuttosto uniformemente uomini, cose e animali. Entrambi gli schieramenti, ad esempio, ospitano bambini intenti a giocare e storpi che si mischiano alla folla e ci sono persino due processioni, anche se una é una sfilata festaiola e l’altra un corteo di fedeli appena usciti dalla messa.
Certo, mentre nei paraggi di Signora Quaresima il secchio venuto su dal pozzo é desolatamente vuoto, lo stesso Carnevale siede su un’enorme botte di vino e alle sue spalle troviamo gente che, diremmo noi oggi, “ha staccato la spina”, e si dà alle danze e ai sollazzi, ma soprattutto  si ingozza e beve.

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A dirla tutta, si mangia su entrambi i fronti: salumi in abbondanza da un lato,  pesce e pane, in quantità molto contenuta, dall’altro.
Altra differenza: mentre sotto il baldacchino di Carnevale vediamo delle uova rotte e altri avanzi, tutto ciò che si spreca del cibo quaresimale sono i gusci vuoti delle cozze, e i fedeli all’uscita dalla messa si fermano a fare l’elemosina ai poveri.
É questo forse il segno più evidente, stridente, dell’insostenibilità, a lungo andare, di questa frenesia: lo spreco, gli scarti e la sporcizia.
Bello il Carnevale, ma non può durare per sempre. Bello e necessario, ma il tempo degli eccessi deve cedere il passo prima o poi al tempo ordinario, dentro cui é possibile progettare, costruire, compiere gesti di carità.

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Utile

 

 

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