Lo spirito nella bottiglia, dei fratelli Grimm. Ci sono fiabe dove tra i temi principali c’è lo studio, che rende più intelligente, o perlomeno furbo, il protagonista.
La scelta di studiare eleva, come avevo già avuto modo di scrivere nel post su quel libro furbetto (molto furbo, visto che è stato in vetta alle classifiche natalizie dei libri per bambini, contando sulla distribuzione da supermercato, – come del resto tutti gli altri libri in classifica -, e su parole modernamente accettabili contrabbandate per favola).
La scelta di far studiare può essere fatta da un padre, come nel caso di questa fiaba o nel caso della bellissima La Bella e la Bestia, che esordisce con: “C’era una volta un ricchissimo mercante; aveva sei figli, tre maschi e tre femmine, e siccome era un uomo intelligente, non risparmiò nulla per educarli e dar loro ogni sorta di maestri.” E, ci ricordano le fiabe, una mente che ragiona, oltre a volare libera e ad agire astutamente, fa sempre paura al potere, come racconta perfettamente la fiaba di Gozzano, La cavallina del negromante. Poche e semplici battute per capirlo: – Sai leggere? – Leggere e scrivere. – Allora non fai per me –
Intervengono poi i temi cari alle fiabe, una certa leggerezza giovanile, che però non fa scansare dal mettersi alla prova e dal rischiare, la bontà, il senso dell’umiltà e della cortesia, senza dimenticare la certezza del bene contenuto nella volontà di Dio … o fortuna, che dir oggi si voglia.
Dedicata, come incoraggiamento, a tutti i Giovannini che sono arrivati a metà anno scolastico.

Lo spirito nella bottiglia, dei fratelli Grimm
C’era una volta un povero taglialegna che lavorava dal mattino fino a notte tarda. Quando finalmente riuscì a mettere da parte un gruzzolo di denaro, disse a suo figlio:
– Sei il mio unico figlio e voglio impiegare il denaro che ho guadagnato con il sudore della fronte per la tua istruzione. Se imparerai qualcosa di buono, potrai mantenermi quando sarò vecchio e dovrò starmene a casa con le membra indurite dagli anni. –
Così il giovane andò all’Università e studiò diligentemente, tanto da meritarsi le lodi dei maestri, ci rimase per qualche tempo e concluse alcuni corsi di studio. Ma non aveva ancora terminato il perfezionamento che il gruzzolo racimolato dal padre era sfumato, ed egli dovette fare ritorno a casa.
– Ah! – disse il padre tristemente, – non ho più nulla da darti, e in tempi così difficili non posso neanche guadagnare un centesimo in più del pane quotidiano. –
– Caro babbo, – rispose il figlio, – non vi dovete crucciare. Se questa è la volontà di Dio, sarà un bene per me. Mi adatterò, resterò con voi e verrò nel bosco ad accatastare e a tagliar legna. –
– Bene figliolo – disse il padre. – Ma sarà un duro lavoro per te che non sei abituato. Non so se ce la farai. E poi ho soltanto un’ascia e non ho denaro per comprarne un’altra. –
– Provate a chiederne una in prestito al vicino – suggerì il giovane, – fino a quando avrò guadagnato abbastanza per acquistarne una. –
Allora il padre andò dal vicino, si fece prestare l’ascia e il mattino dopo, all’alba, andarono insieme nel bosco.
Il figlio aiutava il padre ed era tutto allegro e pieno di forze. Quando il sole fu alto sopra di loro, il padre disse:
– Riposiamoci un poco e mangiamo: dopo riprenderemo con maggior vigore. –
Il figlio prese il suo pezzo di pane e disse: – Riposatevi pure, babbo, io non sono stanco. Vado a fare due passi nel bosco in cerca di nidi. –
– Non strafare! – lo ammonì il padre. – Cosa vuoi mai andartene in giro a zonzo? Poi ti stanchi e non puoi più alzare il braccio; resta qui e siediti accanto a me. –
Ma il figlio andò nel bosco, mangiando contento tutto il suo pane, e guardava tra il verde dei rami, se mai scorgesse qualche nido. Vagando qua e là giunse sotto una grossa quercia dall’aspetto tetro, che certo doveva avere molti secoli, e che cinque uomini non sarebbero bastati ad abbracciare. Si fermò a guardarla e pensò che qualche uccello doveva pur averci fatto il nido. E all’improvviso gli parve di sentire una voce. Tese l’orecchio, e sentì come un cupo grido:
– Lasciami uscire, lasciami uscire! –
Si guardò attorno, ma non vide nessuno. Gli sembrava che la voce uscisse da sottoterra. Allora gridò:
– Dove sei? – La voce rispose:
– Sono qua sotto, fra le radici della quercia. Fammi uscire, fammi uscire! –
Lo studente si mise a rimuovere la terra sotto l’albero e a cercare fra le radici, finché‚ in una piccola cavità trovò una bottiglietta. La sollevò e, mettendola controluce, vide una cosetta simile a una rana, che saltava su e giù.
– Fammi uscire, fammi uscire! – gridò di nuovo; e lo studente, che non sospettava nulla di male, tolse il tappo dalla bottiglia. Subito ne uscì uno spirito che incominciò a crescere, e crebbe così in fretta che in un attimo davanti allo studente stava un orrendo mostro, grande come metà dell’albero.
– Lo sai, – gridò, affrontando lo studente con una voce terribile, – cosa ti spetta per avermi liberato? –
– No, – rispose il giovane per niente intimorito. – Come faccio a saperlo? –
– Allora te lo dirò io! – gridò lo spirito. – Ti romperò il collo!-
– Avresti dovuto dirmelo prima, – rispose lo studente, – e ti avrei lasciato dov’eri. Ma la mia testa rimarrà dove si trova. Dovrai rivolgerti ad altri. –
– Che altri e altri! – gridò lo spirito. – Devi avere la tua ricompensa! Pensi forse che io sia stato rinchiuso tanto tempo per grazia? No, era per punizione. Io sono il potentissimo Mercurio, e devo rompere il collo a chi mi libera. –
– Calma, – rispose lo studente, – non così in fretta! Prima devo sapere se sei davvero stato in quella bottiglietta e se sei proprio lo spirito vero, se sei capace di rientrarci, allora ti crederò e potrai fare di me quel che vorrai. –
– Oh! – disse lo spirito superbamente, – è un gioco da ragazzi! – Rimpicciolì, e si fece così sottile e piccino come era stato all’inizio, in modo da poter passare attraverso il collo della bottiglia. Ma come fu dentro il giovane prese il tappo, chiuse la bottiglia e la gettò sotto le radici della quercia. E così lo spirito fu ingannato.
Lo studente voleva ritornare da suo padre, ma lo spirito gridò con voce lamentosa:
– Fammi uscire! Fammi uscire, ti prego! –
– No, – rispose lo studente, – la seconda volta non ci casco. Chi ha attentato alla mia vita, se l’acchiappo, non lo rimetto in libertà. –
– Liberami, – gridò lo spirito, – e ti ricompenserò per il resto della tua vita. –
– No, – rispose lo studente, – tu mi inganni come prima. –
– Stai sprecando la tua fortuna, – disse lo spirito, – non ti farò niente, e ti ricompenserò invece, riccamente. –
Lo studente decise di rischiare. Forse lo spirito avrebbe mantenuto la parola e non gli avrebbe torto un capello. Tolse il tappo e l’orribile creatura prese forma, si ingrandì e crebbe come un gigante. Porse allo studente uno straccetto simile a un cerotto e disse:
– Se con un lembo tocchi una ferita essa guarirà all’istante, e se con l’altro tocchi il ferro e l’acciaio essi si trasformeranno in argento. –
– Fammi provare subito! – esclamò il giovane. Si avvicinò ad un albero, scalfì la corteccia con l’ascia poi la strofinò con un capo del cerotto. La corteccia si rimarginò immediatamente.
– Bene, è proprio vero! – disse allo spirito. – Allora possiamo salutarci. – Lo spirito lo ringraziò per averlo liberato, e lo studente lo ringraziò del suo dono e tornò dal padre.

– Dove ti eri cacciato? – domandò il padre. – Hai dimenticato il lavoro. Te l’avevo detto che non era per te. –
– State tranquillo babbo, rimedierò. –
– Sì, rimediare! – disse il padre in collera. – Ci vuol altro! –
– Fate attenzione, babbo, voglio buttare giù con un solo colpo quell’albero, da farlo schiantare. – Prese il cerotto, lo passò sull’ascia e menò un gran colpo; ma siccome il ferro si era mutato in argento, la lama si piegò.
– Ma… babbo, guardate un po’ che cattiva ascia mi avete dato; si è stortata! –
Allora il padre si spaventò e disse: – Ah, cos’hai fatto! Adesso devo pagare l’ascia e non so come fare: questo è il vantaggio che ho dal tuo lavoro! –
– Non arrabbiatevi – rispose il figlio – l’ascia la pagherò io. –
– Oh, sciocco! – gridò il padre – e con che cosa vorresti pagarla? Non hai niente all’infuori di quello che ti do io; hai soltanto grilli da studente nella testa, ma quanto a tagliar la legna, non ne capisci niente! –
Dopo un po’ lo studente disse:
– Babbo, non posso più lavorare, smettiamo. –
– Come! – rispose il padre. – Pensi forse ch’io voglia starmene con le mani in mano, come te? Devo lavorare ancora, tu vattene se vuoi. –
– Babbo, è la prima volta che vengo nel bosco, e non so trovare la strada da solo: venite con me. – Poiché la rabbia gli era sbollita, il padre si lasciò infine convincere e andò a casa con lui. Strada facendo gli disse: – Figliolo, cerca di vendere l’ascia piegata e guarda un po’ quel che ne ricavi; il resto dovrò guadagnarlo io. –
Il figlio prese l’ascia e la portò in città da un orefice; questi la saggiò, la mise su di una bilancia e disse:
– Vale quattrocento scudi, ma al momento non ne ho tanti da darti. – Lo studente disse:
– Datemi quello che avete. Il resto lo pagherete poi. – L’orefice gli diede trecento scudi e restò in debito di cento. Poi lo studente andò a casa e disse:
– Babbo, ho il denaro: andate a chiedere al vicino quanto vuole per l’ascia. –
– Lo so già, – rispose il vecchio, – uno scudo e sei soldi. –
– Allora dategli due scudi e dodici soldi; è il doppio e mi pare che basti. Guardate… ho denaro in abbondanza! – Diede al padre cento scudi e disse: – Non vi mancherà più nulla e vivrete serenamente. –
– Dio mio, – disse il vecchio, – come hai fatto ad avere tutta quella ricchezza? – Allora il figlio gli raccontò tutto quello che gli era capitato e che fortuna avesse avuto ad andare nel bosco. Con il resto del denaro tornò all’Università e continuò a studiare e, grazie al magico straccetto che sanava tutte le ferite, diventò il dottore più famoso del mondo.

– Se con un lembo tocchi una ferita essa guarirà all’istante, e se con l’altro tocchi il ferro e l’acciaio essi si trasformeranno in argento. – Illustrazione di Scott Plumbe
Utile
- Se volete stampare la fiaba in b/n la trovate qui Lo spirito nella bottiglia
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- Conoscete altre fiabe in cui lo studio eleva l’uomo o, al contrario, quando fatto stupidamente e senza senso ovvero senza connessioni con la realtà, lo fa essere un citrullo? Come ci ricorda la bellissima fiaba di Andersen, Gian Babbeo. “Uno conosceva tutto il vocabolario latino e le ultime tre annate del giornale del paese che sapeva recitare da capo a fondo e viceversa, l’altro si era studiato tutti i regolamenti delle corporazioni d’arti e mestieri”
Una risposta a "Lo spirito nella bottiglia, dei fratelli Grimm. O del perché studiare"