La vecchia lapide, fiaba di H.C.Andersen. Chi farà rivivere le storie se non noi?

La vecchia lapide, di Hans Christian Andersen. Una fiaba per invitarci a raccontare fiabe, per spronarci a raccontare le storie. Perché possano continuare a vivere attraverso le nostre parole.

Attraverso le nostre parole scritte e parlate, ad alta voce tra tanti bambini o sussurrando al nostro. Le storie per prendere vita hanno bisogno di noi. La storia del nonno e quella della coppia che si amava, la triste bellissima fiaba del giovane Re e quella ancor più triste ma così profondamente autentica del suo autore. La storia del nostro pittore felice e invidiato e quella della sconosciuta Nobel sarda. Chi li può far vivere per voi se non io che li conosco? Che li amo? E la storia della Buona Novella e quella del Re dei Re? E di quei tre Magi che portano doni preziosi e che, nell’ultima presentazione fatta in biblioteca, nessun bambino sapeva chi fossero? Se non facciamo rivivere noi le più belle storie, chi lo farà? Se non raccontiamo più nulla ai nostri figli, nipoti, scolari, chi lo farà? “Tutto viene dimenticato” ci ricorda l’ennesima fiaba perfetta di Andersen. Per risplendere ancora, le parole hanno bisogno di noi.
Ancora una volta grazie, caro Hans

Elisabeth Jerichau-Baumann, Andersen legge le storie ai figli dell’artista

La vecchia lapide
di Hans Christian Andersen

In una piccola cittadina di provincia, a casa di un uomo che era proprietario della sua fattoria, la sera tutta la famiglia stava seduta in circolo, nella stagione in cui si dice che «le sere si allungano»; l’aria era ancora mite e calda; la lampada era accesa, le lunghe tende coprivano le finestre abbellite con vasi di fiori, e fuori c’era uno splendido chiaro di luna; ma non parlavano di questo, parlavano di una vecchia, grande pietra che stava nel cortile accanto alla porta della cucina, dove spesso le domestiche mettevano le stoviglie di rame pulite perché si asciugassero al sole, e dove i bambini giocavano volentieri: in realtà era una vecchia lapide.
“Sì” disse il padrone di casa, “credo che provenga dalla vecchia chiesa distrutta del convento; infatti furono venduti pulpito, epitaffi e lapidi! Mio padre, buonanima, ne comprò diverse e furono fatte a pezzi per il lastricato, ma questa pietra avanzò e da allora è rimasta in cortile”.
“Si vede bene che è una lapide” disse il più grande dei figli, “vi si scorge ancora una clessidra e il pezzo di un angelo, ma l’iscrizione che c’era è quasi completamente cancellata, tranne il nome di Preben e una “S” maiuscola subito dopo, e poco più in basso “Marthe”; ma di più non si riesce a cavarne, e del resto si vede chiaramente solo quando è piovuto o dopo che abbiamo lavata”.

“Oh Dio, è la lapide di Preben Svane e di sua moglie!” disse un vecchio che per la sua età poteva essere benissimo il nonno di tutti i presenti nella sala. “Già, quella coppia fu una delle ultime a essere sepolta nel vecchio cimitero del convento! Era una vecchia coppia di brava gente, ai tempi in cui ero ragazzo! Li conoscevano tutti, tutti gli volevano bene, per la loro età erano stati incoronati re e regina della città! La gente diceva che possedevano più di un barile d’oro, eppure andavano vestiti con semplicità, con la stoffa più ruvida, ma la loro biancheria era di un bianco scintillante. Erano una splendida vecchia coppia, Preben e Marthe! Quando erano seduti sulla panca, in cima all’alta scala di pietra della casa sulla quale il vecchio tiglio faceva scendere i suoi rami, e facevano cenni amichevoli e gentili col capo, eravamo davvero contenti. Erano incredibilmente buoni con i poveri! Davano loro da mangiare, li vestivano e in tutta la loro carità c’erano buon senso e vero spirito cristiano.
Prima morì la moglie! Ricordo benissimo quel giorno! Ero un ragazzino e stavo con mio padre a casa del vecchio Preben poco dopo che lei si era addormentata; il vecchio era così commosso, piangeva come un bambino. La salma era ancora in camera da letto, accanto alla stanza dove eravamo seduti noi; lui parlò con mio padre e un paio di vicini di quanto si sarebbe sentito solo ora, di quanto era stata buona, di quanti anni avevano vissuto insieme e di come si erano conosciuti e si erano innamorati; io, come ho detto, ero piccolo e stavo a sentire, ma mi riempì di una strana sensazione ascoltare il vecchio e vedere come si faceva sempre più concitato, le guance gli si arrossavano mentre parlava dei giorni del fidanzamento, di come era graziosa, di tutte le innocenti deviazioni che aveva fatto per incontrarla, e parlò del giorno delle nozze, i suoi occhi si illuminarono, era come se rivivesse quei tempi felici, e lei invece giaceva morta nella stanza accanto, una vecchia, e lui era un vecchio che parlava dei tempi della speranza!
Già, così vanno le cose! Allora ero solo un bambino e adesso sono vecchio, vecchio come Preben Svane. Il tempo passa e tutto cambia! Ricordo bene il giorno dei funerali di Marthe, il vecchio Preben camminava proprio dietro la bara. Un paio d’anni prima i due si erano fatti scolpire la lapide con l’iscrizione e i nomi, tranne l’anno di morte; la pietra fu portata la sera e posata sulla tomba, e l’anno successivo fu sollevata di nuovo e il vecchio Preben raggiunse la moglie. L’eredità che lasciarono non era la ricchezza che la gente credeva e di cui aveva chiacchierato, quanto c’era andò a dei lontani parenti di cui non si era mai saputo niente. La casa con le travi a vista, con la panca in cima all’alta scala di pietra sotto il tiglio, fu rasa al suolo dal comune perché era troppo malandata per lasciarla in piedi. In seguito, quando la chiesa del convento subì la stessa sorte e il cimitero fu eliminato, la lapide di Preben e di Marthe, come tutto il resto, andò a chi voleva comprarla e ora è capitato che non è stata fatta a pezzi e utilizzata, ma è ancora nel cortile come gioco per i piccoli e appoggio per le stoviglie di rame pulite dalla domestica. La strada lastricata passa ora sopra l’ultima dimora del vecchio Preben e di sua moglie; nessuno si ricorda più di loro!”.

E il vecchio che aveva raccontato tutto questo scosse malinconicamente la testa. “Si viene dimenticati! Tutto viene dimenticato!” disse.

E poi nella sala parlarono di altre cose; ma il più piccolo dei bambini, un bimbo con grandi occhi seri, salì sulla sedia dietro le tende e guardò giù in cortile dove la luna splendeva sulla grande pietra che gli era sempre sembrata vuota e piatta, ma che ora stava lì come un grande foglio di un libro di storia. La pietra aveva in sé tutto ciò che il bambino aveva ascoltato su Preben e sua moglie; e lui la guardò, e alzò lo sguardo verso la luna chiara e luminosa nell’aria tersa, ed era come il volto di Dio che splendeva sulla terra.

“Si viene dimenticati! Tutto viene dimenticato!” echeggiò nella sala e in quell’istante un angelo invisibile baciò il petto e la fronte del bambino e sussurrò piano: “Conserva bene il seme che ti è stato dato, conservalo per l’epoca della maturità! Grazie a te, bambino, l’iscrizione cancellata, la lapide sgretolata, risplenderanno con luminosi tratti dorati per le generazioni a venire! La vecchia coppia tornerà a camminare a braccetto per le antiche strade e siederà sorridente, con le fresche guance rosse, in cima alla scala di pietra sotto il melo, farà cenni col capo a poveri e ricchi. Il seme di questo momento crescerà negli anni fino a diventare una florida opera poetica. Il buono e il bello non vengono dimenticati, vivono nelle leggende e nei canti”.

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